Parlamento in ferie per 40 giorni, ecco le leggi a rischio

Resterà poco tempo per votare i provvedimenti incompiuti

Il Parlamento (Ansa)

Il Parlamento (Ansa)

Roma, 6 agosto 2017 - Il problema è sempre lo stesso, quello che alimenta le fila dell’astensionismo e dei movimenti populisti: il distacco tra il Palazzo e il Paese reale. Dall’inizio della legislatura, al netto delle presenze nelle Commissioni, i deputati hanno ‘lavorato’ in Aula in media 4,4 ore al giorno (naturalmente solo di martedì-mercoledì e giovedì), i senatori ancor meno, appena 2,5 ore. Ma hanno comunque deciso di meritarsi ben 40 giorni di ferie e ritorneranno a Roma con i loro trolley solo il 12 settembre. A quel punto mancheranno circa 6 mesi per le prossime elezioni. Se – com’è possibile – le urne fossero ai primi di aprile, le Camere dovrebbero essere sciolte per la metà di febbraio (da Costituzione, tra i 70 e i 45 giorni prima del voto). Ciò, togliendo la pausa natalizia, significa appena 45 giorni di lavoro al lordo dei decreti che arriveranno dal governo. Almeno 15 giorni, da regolamento, sono riservati esclusivamente alla legge di bilancio e non meno di 10 saranno dedicati alla legge elettorale, anche se si trattasse solo di qualche ritocco al Consultellum.

Morale: restano appena 20 giorni di lavoro in Aula per affrontare le tante incompiute di questa legislatura che ora rischiano seriamente di non vedere mai la luce. Ecco perché 40 giorni di ferie sembrano eccessivi. Ma è chiaro, deputati e senatori, sono impegnati soprattutto nelle grandi manovre per essere riconfermati e passano da un gruppo a un altro con la stessa disinvoltura con cui ci si cambia una maglietta. I loro leader trattano sulle alleanze in Sicilia e sulla prossima legge elettorale, non certo sul calendario parlamentare nell’ottica di approvare il maggior numero possibile di riforme. Tanto più che le divisioni tra i partiti sono estreme: sul taglio dei vitalizi da mesi Pd e 5 Stelle si rincorrono la paternità di una legge attesa dall’opinione pubblica come la fine di un privilegio ma, passata tra mille polemiche alla Camera, al Senato rischia di non avere i numeri viste le resistenze di chi non vuole perdere una parte importante di quell’assegno.

Inoltre la riforma è in odore d’incostituzionalità e potrebbe dunque essere necessario un altro passaggio a Montecitorio. Rischiano di saltare anche lo Ius soli, tanto caro a Renzi, che è strettamente collegato con l’emergenza immigrazione e fortemente osteggiato da tutto il centrodestra, per una volta unito. Il Biotestamento che ripropone l’eterna divisione tra laici e cattolici, ovvero tra chi considera il fine vita un diritto e chi invece equipara l’eutanasia a un vero e proprio reato. Poi c’è il Codice antimafia che vede contrapposti garantisti e giustizialisti e sappiamo bene che quando la politica s’intreccia con la giustizia le discussioni sono sempre infinite. Stesso discorso per il ddl Antifascismo, la tutela degli orfani di femminicidio e il doppio cognome ai figli, che vedono divisioni e contrasti molto forti tra chi li considera provvedimenti fondamentali per un Paese civile e moderno e chi invece si oppone perché vede rischi di derive pericolose.

Per non parlare della Legittima difesa che ha avuto il via libera della Camera a inizio maggio ma che, dopo l’eventuale via libera di Palazzo Madama, dovrebbe fare la navetta e tornare indietro viste le discussioni sulla possibilità di potersi difendere in casa propria da ladri e rapinatori solo di notte. Praticamente impossibile. Un’eccezione per fortuna c’è: in Commissione al Senato in sede deliberante è stata approvata invece la riforma del telemarketing. Una boccata d’ossigeno contro lo stalkeraggio telefonico che prevede l’ampliamento del registro delle opposizioni e un prefisso unico per chiunque ci chiama a tutte le ore per vendere i propri servizi. La Camera potrebbe prendere esempio e regalare perlomeno agli italiani un pizzico di tranquillità.