Venerdì 19 Aprile 2024

Elezioni amministrative, elettori in fuga dal Pd. Iscritti over 50

L'Istituto Cattaneo: chi molla il partito democratico per votare 5 Stelle o Lega poi non torna più. Gli iscritti sono quasi 400mila: gli under trenta sono meno del 20 per cento

Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 8 giugno 2016 - I sintomi ci sono tutti: elettori non più fedeli al partito, disaffezione, nessun enfant prodige all’orizzonte. Ma se il primo turno delle Comunali ha dato un segnale, bisognerà aspettare ballottaggi e referendum costituzionale per misurare quanto il Pd stia davvero soffrendo.  Ricordate il 2014, quando divenne governatore Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna? In quel caso il Pd vinse, ma a votare ci andò il 38% degli elettori. Oggi, stesso contesto emiliano, a Bologna il sindaco dem Virginio Merola va al ballottaggio col peggior risultato da quando c’è l’elezione diretta dei sindaci (la Bartolini, che perse al ballottaggio con Guazzaloca arrivò al primo turno al 46,6%, Merola appena al 39,5). Sintomi di disaffezione, dall’ormai ex roccaforte rossa d’Italia, da non sottovalutare. E non lo dice il solito Beppe Grillo, ma il Cattaneo, importante istituto di ricerca politica. Il ricercatore Marco Valbruzzi sintetizza una tendenza che potrebbe far impallidire pure Matteo Renzi: il tradimento degli elettori Pd. «Rispetto alle politiche 2013, in città come Bologna e Torino, chi non si è più riconosciuto nell’ex partitone, non si è astenuto. Ma circa il 20% ha traslocato verso Movimento 5 Stelle e Lega».    I NUMERI variano di città in città. Con picchi sotto le Due Torri – a Bologna l’11% di chi votò Pd nel 2013 ha scelto il candidato stellato Bugani, il 6,4% la leghista Borgonzoni – e a Torino, dove più del 21% che votava Fassino ha scelto la grillina Appendino. Ma dal Cattaneo arriva una seconda notizia: l’elettore Pd è quello più fedele alla ‘ditta’. E se abbandona, abbandona per sempre. «Al massimo – spiega Valbruzzi – una volta stanco delle forze anti-sistema, finirà per non votare».  Insomma, l’astensione salta un giro. E chi cambia bandiera, non torna. Se confrontiamo i dati del centrosinistra (civiche comprese) alle Comunali 2016 con quelle omologhe del 2011 c’è un calo del 7%. Un tre per cento in meno, circa, considerando il solo Pd. In pratica, sintetizza il politologo Piero Ignazi, «il Pd di Renzi è tornato alle percentuali della ditta bersaniana. Ciò dimostra che il grande successo delle Europee 2014 è stato un’illusione ottica. E il marchio Pd vale come nel 2011». Ma, allora, dov’è finito il 40 per cento delle Europee, bandiera del Pd renziano?  Un ex dirigente scuola Ds, minoranza dem: «Da quando è nato, nel 2007, a oggi, nel partito hanno prevalso logiche correntizie. Tendenza che c’era con Walter Veltroni e con Pier Luigi Bersani. Lo stesso vale per il declino degli iscritti. Ciò che dispiace è che Renzi col boom del 40% nel 2014 poteva far rifiorire il Pd. E, invece, si è relegato in un cantuccio senza cercare nuove leve». Della serie: una Raggi mica si trova sotto un cavolo.  Dal Nazareno arriva la conferma: nessun boom d’iscritti nel 2014. Ma benché le tessere si siano dimezzate rispetto al 2008-2009 (erano circa 800mila), dal 2014 al 2015 sono aumentate di circa 20mila. Numeri confermati dal vicesegretario Pd, Lorenzo Guerini: «Il tesseramento 2015 conta 395.320 iscritti, di cui 29mila giovani democratici».  «Gli under 30 – fanno sapere dal Nazareno – restano sotto il 20 per cento, i 30-50enni si fermano al 30%, mentre gli over 50 sono circa la metà del totale». I più rappresentati? «La composizione sociale è trasversale. Dai lavoratori dipendenti ai liberi professionisti. Dagli studenti, alle casalinghe fino ai pensionati».    DALLE FILA della minoranza Pd i dati (all’incirca) vengono confermati. Con un appunto: «I giovani non s’iscrivono dagli anni ’70. È la fascia 40-45/60 anni che stiamo perdendo». Poi c’è il caso periferie. Il senatore dem, Federico Fornaro, fa notare, come nelle periferie si sia votato il M5S anziché il Pd, senza ‘passare’ alla sinistra radicale.  Sinistra-sinistra che non influisce anche per Paolo Segatti, professore alla Statale di Milano e autore de La rappresentanza politica in Italia (Il Mulino). Anzi. «Gli elettori Pd che votarono i democratici con Bersani segretario, erano molto meno radicali rispetto ai candidati di riferimento. Tant’è che percepivano il Pd come Podemos, quasi fin troppo a sinistra per loro. Nel 2014, col Pd renziano, si sono recuperati gli elettori persi al centro».  Perché allora il Pd non ha spopolato alle Comunali? «Ha scontato – dice Segatti – l’impegno di governo. Ma a Renzi do un consiglio: il leader conta molto, ma è il partito che resta. A lungo».