Giovedì 18 Aprile 2024

Delrio: "Flessibilità Ue per 5 anni". E niente lacci al cantiere Italia

Il ministro: "Investimenti in opere strategiche fuori dal patto, non è debito"

Graziano Delrio (Onofri)

Graziano Delrio (Onofri)

Roma, 24 agosto 2016 - IL MINISTRO Graziano Delrio ha lasciato da poche ore l’ufficio del premier Renzi. «Abbiamo fatto un aggiornamento sulle opere infrastrutturali in corso», spiega.

L’obiettivo? «Snellire i cantieri bloccati e accelerare quelli importanti e strategici, come i corridoi internazionali. Molti cantieri sono bloccati per le difficoltà finanziare delle imprese o per i ricorsi».

I ricorsi sono una piaga? «Sul 75% dei lavori di Anas pende un ricorso al Tar. Moltissimi partono subito dopo l’aggiudicazione. Abbiamo appena chiuso il bando della Roma-Latina per 2,5 miliardi e c’è già un ricorso. Quest’anno abbiamo perso quasi 3 mesi con la Brennero per un ricorso e così i lavori eseguiti nel 2016 saranno inferiori ai 400 milioni previsti. Ora i cantieri si accelerano e prevediamo di passare a 600 milioni nel 2017 e 800 nel 2018».

Il nuovo codice degli appalti è sotto accusa... «Il nuovo codice mira a ridurre questi ricorsi. Non sono i bandi che fanno il Pil ma i cantieri e solo se procedono, se si lavora. Questo governo ha aumentato nel 2015 fino a 30 miliardi i bandi rispetto ai 18 del 2013. Ma i bandi si tradurranno in cantieri nel 2017 e ricadranno sul Pil solo allora. Dire che il nuovo codice ridurrà il Pil del 2016 è semplicemente falso».

Resta il nodo dei lacci europei... «Abbiamo velocizzato la Brennero, il corridoio Genova-Rotterdam, l’alta velocità Napoli-Bari. Una parte degli investimenti rientra già nella clausola di flessibilità che ci è stata concessa».

E i prossimi anni? «Bisogna ragionare su un arco di 5 anni per questo genere di investimenti. Non possiamo trattare una flessibilità di cassa anno per anno, bisogna stabilire regole in cui gli investimenti di valenza europea non siano calcolati nel patto di stabilità perché strategici per i territori. Penso ai corridoi europei, ma anche alla Salerno - Reggio Calabria o alla Ionica, che aiutano a rendere connessi con l’Europa interi territori».

È la trattativa con l’Europa? «L’obiettivo è stabilizzare la flessibilità. Negoziare di anno in anno è complicato. Se abbiamo avviato un cantiere come l’alta velocità Napoli-Bari, dobbiamo poter procedere senza limiti di cassa».

Ma Bruxelles e la Germania sono duri da convincere. «Sia chiara una cosa: non chiediamo più risorse, ma di spendere le risorse che abbiamo. Così come il governo Renzi ha prima ridotto e poi liberato i Comuni dal patto di stabilità per rilanciare gli investimenti, chiediamo solo che l’Europa abbia la stessa attenzione con noi. I nostri bilanci sono virtuosi, se spendiamo per opere importanti non è un debito, ma un investimento che sviluppa l’economia».

Un passo obbligato per recuperare gli investimenti? «Sì. Gli investimenti, pubblici e privati, sono crollati del 30% negli anni della crisi. Oggi Anas ha a disposizione oltre 10 miliardi per 5 anni. Prima poteva contare su di un miliardo all’anno».

E i privati? «Riguarda anche loro. Abbiamo dato bonus per l’ammortamento, per le assunzioni, per la ricerca e lo sviluppo. Oggi magari servono meccanismi di finanziamento europeo per promuovere la costruzione di infrastrutture. La finanza di progetto, poi, è una forma di collaborazione straordinaria con lo Stato, ma se un privato propone di investire in un’autostrada, non può poi chiedere allo Stato di aiutarlo se non ce la fa. Deve prendersi il rischio d’impresa».

Ed evitare di pensare ai ricorsi. «Diciamo che nelle aziende servono più ingegneri che avvocati».

Come procede l’ipotesi di fusione tra Anas e Ferrovie? «Il dossier è in elaborazione. Se vogliamo fare crescere progetti di qualità in Italia, mettere insieme queste due realtà sarebbe importante per il patrimonio di ingegneri e progettisti che si metterebbe in campo. Dobbiamo tornare ad essere bravi come quando l’Italia costruì in 8 anni l’Autostrada del sole».

Lei visiterà i sindaci per promuovere il Sì al referendum: c’è un legame con le infrastrutture? «Con la riforma le grandi opere tornano di completa competenza statale. Pensi alle dighe: ce ne sono un centinaio in Italia, richiedono interventi urgenti, e spesso sono di proprietà di improbabili Consorzi che si trovano a gestire invasi di importanza nazionale. Vale anche per i porti di competenza nazionale: devono cessare le logiche campanilistiche. L’autonomia si costruisce nella chiarezza delle competenze».

E se vince il No? «Lavoriamo perché non avvenga. Le ragioni del No sono legate alla politica, ma se stiamo sul merito della riforma sapremo convincere».