Venerdì 19 Aprile 2024

Confindustria, Boccia al governo: avanti con le riforme

Il presidente sprona l'esecutivo: "Gentiloni faccia tutto quello che serve al Paese. Guai a stare fermi aspettando il voto"

Vincenzo Boccia, leader di Confindustria (LaPresse)

Vincenzo Boccia, leader di Confindustria (LaPresse)

Roma, 5 gennaio 2017 - «IL GOVERNO non molli sulle riforme e faccia tutto quello che serve al Paese». Vincenzo Boccia, numero uno di Confindustria, guarda ai prossimi mesi con qualche realistico timore («Siamo preoccupati per le tentazioni protezionistiche»), ma anche con relativa fiducia («L’Italia può crescere, è finito il tempo della rassegnazione per le imprese italiane»). E’ soprattutto la stabilità politica «fattiva», però, il non tanto oscuro oggetto del desiderio del leader degli industriali. «Non possiamo permetterci – scandisce – mesi di inerzia in attesa del voto». Come dire: l’esecutivo Gentiloni, finché ci sarà, deve agire nella pienezza dei suoi poteri e non tirare a campare.

Presidente, come guardano le imprese all’anno appena cominciato?

«La sfida degli imprenditori italiani parte dalla fabbrica, della quale sono attori assieme ai lavoratori, per incrociare la politica economica nazionale e affermare che la vera questione italiana, oggi più che mai, è la questione industriale. Vale per l’Italia e, beninteso, anche per l’Europa».

Ma il 2017 sarà l’anno di una ripresa più robusta o dobbiamo attenderci una perdurante fase di stallo?

«Quasi tutti gli indicatori mostrano che ci sarà una ripresa a livello mondiale. Non si crescerà ai ritmi che vorremmo ma pur sempre si crescerà. L’Italia deve farsi trovare pronta insistendo sulla politica dell’offerta e dei fattori che consente a tutte le imprese di competere alla pari perché le migliori e le più attrezzate possano affermarsi nel mercato interno e su quelli internazionali».

Le nostre imprese sono pronte?

«Contiamo molto sulla capacità di reazione delle imprese italiane perché è finito il tempo della rassegnazione».

Una prova è in queste ore la mossa di Fincantieri, contrastata, sui cantieri navali di Saint-Nazaire. Non siamo solo prede, dunque?

«È molto positivo che una società italiana acquisisca una società francese e nel mercato europeo questo tipo di operazioni dovrebbe rappresentare la norma (ma io continuo a tifare per l’Italia)».

A breve, però, bisognerà fare i conti con le richieste della Cgil (ma anche di un pezzo crescente del Pd, oltre che delle opposizioni) per smantellare il Jobs Act. Come giudica l’attuale disciplina dei voucher?

«Non c’è dubbio che l’utilizzo dei voucher vada regolato, non demonizzato, e va aggiunto che la nostra categoria è quella che ne fa meno uso. Sotto il profilo dell’incidenza sul monte complessivo dell’occupazione in Italia non sembra che il fenomeno abbia un rilievo determinante e pare sia in atto una battaglia di principio più che di sostanza. Detto questo è chiaro che ogni abuso debba essere eliminato».

E l’eventuale ritorno all’articolo 18 vecchia maniera?

«Crediamo non sia opportuno smontare una riforma prim’ancora che abbia potuto produrre i suoi effetti. Com’è noto non esiste contemporaneità tra il momento in cui si assume una decisione e quello della verifica dei risultati. In Germania ci sono voluti 15 anni per beneficiare degli effetti delle riforme volute dall’ex cancelliere Schroeder. Il Jobs Act va letto e inserito in una politica organica per la crescita e l’occupazione».

Lei ha riavviato una fase di concertazione intensa con i sindacati: qual è il prossimo obiettivo, dopo le prime intese raggiunte?

«Con i sindacati stiamo lavorando per un accordo che chiamiamo Patto per la Fabbrica nel presupposto che si possa ottenere uno scambio tra salario e produttività anche attraverso l’uso corretto della contrattazione aziendale di secondo livello. Insieme dovremo creare le condizioni per avere maggiore occupazione e combattere due mali assoluti: la povertà e l’eccesso di disuguaglianza che riduce la capacità di crescita».

Che cosa chiede, invece, all’attuale governo? Vi sono le condizioni per misure a sostegno degli investimenti?

«La prima richiesta è di non mollare per nessuna ragione sul principio delle riforme. Ne abbiamo un grande e non rinviabile bisogno su diversi fronti: tempi della giustizia, efficienza della Pubblica amministrazione, rapporti non conflittuali con il fisco, qualità dell’istruzione. Dobbiamo poi lavorare intensamente sulle opportunità di Industria 4.0 per affermare la tipologia d’impresa alla quale pensiamo quando diciamo di volere un paese competitivo: ad alta intensità d’investimenti, alta tecnologia, alta produttività. Senza questi requisiti non potremmo vincere una concorrenza internazionale sempre più agguerrita. E, attenzione, la sfida oggi non è tanto tra Paesi europei ma tra l’Europa e il resto del mondo».

Meglio votare entro giugno o far decantare la situazione e varare una legge elettorale nuova e uniforme, anche se questo dovesse portare al voto nel 2018?

«Su questo argomento è meglio lasciar lavorare il Parlamento e le forze politiche. Quello che a noi imprenditori interessa, in ogni caso, è che il tempo che abbiamo davanti non sia impiegato in sterile attesa del voto ma venga riempito con proposte e atti da realizzare nell’interesse del paese. Non possiamo permetterci settimane o mesi d’inerzia».

Insomma, serve una stabilità fattiva.

«Le cose da fare sono tante, le abbiamo individuate e indicate. Dobbiamo agire, in Italia e in Europa, per la crescita e la stabilità delle nostre economie stabilendo quali obiettivi reali vogliamo raggiungere, con quale risorse e strumenti, per poi agire sui saldi di bilancio».

Un’ultima nota: come giudica le pratiche protezionistiche che, a partire dal presidente Trump, sembrano affacciarsi sulla scena internazionale?

«Siamo molto preoccupati per le tentazioni protezionistiche perché il libero scambio è fondamentale per la buona salute delle economie nazionali. Per quanto riguarda i rapporti fondamentali con gli Stati Uniti ci auguriamo che l’Unione Europea conservi il suo stato di partner privilegiato».