Berlusconi: "Renzi è la casta"

L'intervista. "Altro che eredi, io sono in forma"

Berlusconi con i giovani di Forza Italia (Ansa)

Berlusconi con i giovani di Forza Italia (Ansa)

Roma, 20 novembre 2016 - PRESIDENTE Berlusconi, possiamo far chiarezza una volta per tutte? Lei è per il No o per il Ni al referendum del 4 dicembre, come molti sostengono?

«Chi sono questi ‘molti’? Forse qualcuno di quelli che sono abituati al teatrino della vecchia politica, fatta di giochi di palazzo e di ipocrisie. Io non ho mai fatto politica in questo modo, non ne sarei neppure capace. Sono sceso in campo nel 1994 anche per cambiare questo modo di fare politica, che è quello che ha stancato e disgustato gli italiani. Comunque io sono da sempre, decisamente e responsabilmente per il No, perché credo che questa riforma della Costituzione sia sbagliata, controproducente e addirittura pericolosa per la democrazia».

Per la prima volta, dunque, c’è una contrapposizione frontale tra Mediaset e Forza Italia?

«Mediaset è una grande azienda editoriale che non fa e non ha mai fatto politica. Tutti i giornalisti e i conduttori hanno sempre goduto della massima libertà di pensiero e di azione: hanno lavorato e lavorano a Mediaset molti professionisti che hanno idee politiche di sinistra. Comunque, un’azienda televisiva, che si rivolge a un pubblico generalista, nel quale ovviamente vi sono tutte le idee e le opinioni politiche, per definizione, non può essere ‘di parte’ perché deve rivolgersi a tutti».

In verità, non si è capito bene anche qual è il suo giudizio su Renzi: continua a pensare che, a un certo punto, potrebbe rivelarsi un suo erede politico?

«Ma che domande sono? Io sono un liberale, Renzi viene dalla sinistra cattolica. Io ho costruito aziende che hanno contributo alla grandezza del nostro Paese, Renzi invece è il tipico esemplare di quella ‘Casta’ di politici di professione che lui dice di voler combattere. Io ho ottenuto negli anni duecento milioni di voti dagli italiani. Renzi è stato eletto con 112mila voti a sindaco di Firenze, con tutto il rispetto per quella meravigliosa città, e non è stato neppure eletto in Parlamento. E poi, detto tra noi, io mi sento abbastanza in forma e quindi gli eredi possono aspettare».

L’esito del referendum può influire sulla leadership del centro-destra?

«L’esito del referendum e la leadership del centro-destra sono due temi del tutto diversi. La vittoria del No è importante per il futuro del Paese, gli altri problemi – chi fa il leader, per esempio – vengono molto ma molto dopo».

Vengono pure dopo la sentenza di Strasburgo? Presidente, ritiene maturi i tempi per una decisione che attende da anni?

«Questo è un tema molto serio. La sentenza di Strasburgo non riguarda soltanto un privato cittadino, cosa che sarebbe comunque importante, riguarda la vita democratica di un importante Paese europeo come l’Italia. Auspico che la Corte di Strasburgo voglia prendere atto che lasciando in sospeso questa questione si fa un torto non a Silvio Berlusconi, ma a milioni di moderati italiani che hanno innanzitutto il diritto di sapere come sono andate veramente le cose e poi, con Berlusconi in campo, potrebbero prevalere sulla sinistra alle prossime elezioni».

Il discorso con Parisi è chiuso?

«Il dottor Parisi ha appena annunciato la creazione di un suo Movimento politico. Immagino quindi che si occuperà di questo. Mi auguro che riesca a tradurre in atto il proposito, da lui spesso annunciato e che io ho atteso per mesi, di coinvolgere in politica parti della società civile che per il momento ne sono lontane».

Ma lei come pensa di tenere unita la Lega al centro-destra?

«Dopo il fallimento di Renzi e, considerata la chiara inattitudine dei grillini come forza di governo, soltanto il centro-destra unito è in grado di offrire al Paese una credibile proposta di governo. Questo significa lavorare per avere programmi seri, concreti, verificabili, affidati a persone che per la loro professionalità e la loro storia personale nella trincea del lavoro, dell’impresa, delle professioni, della cultura, godano della fiducia degli italiani. Quindi dobbiamo saperci rinnovare negli uomini e nelle idee senza rottamare nessuno, ma avvalendoci delle capacità di tutti. Così si costruisce l’alternativa liberale, cattolica, riformatrice alla sinistra, l’unica alternativa in grado di vincere e di governare e non solo di dare voce alla protesta. Stiamo già lavorando con i vertici della Lega e di Fratelli d’Italia a un programma comune...».

Forza Italia è attrezzata per andare a votare il prossimo anno?

«Vorremmo che si andasse a votare non il prossimo anno, ma il prossimo mese, se fosse possibile. Non lo dico sulla base delle convenienze di Forza Italia, ma della necessità che i cittadini possano finalmente tornare a decidere. Dopo cinque colpi di Stato che negli ultimi 25 anni hanno stravolto la volontà degli elettori, dopo che l’ultimo governo scelto dagli italiani nel 2008 è stato fatto cadere da una manovra di Palazzo, con la complicità di alcuni leader europei, è ora che gli italiani possano tornare protagonisti del loro destino. Naturalmente per poter fare questo occorre una nuova e finalmente condivisa legge elettorale, quindi un po’ di tempo sarà necessario. Ma chiederemo al Capo dello Stato di farsi garante della brevità di questo processo».

Se vincono i No chiederete le dimissioni di Renzi?

«Non le chiediamo noi, le ha annunciate lui. Staremo a vedere».

E se il presidente della Repubblica, dopo la vittoria del No, affidasse un mandato per un governo di scopo, a quale condizioni Forza Italia lo sosterrebbe?

«Il Partito democratico e i suoi alleati hanno la maggioranza nei due rami del Parlamento, sebbene conseguita grazie a un gruppo di parlamentari che hanno cambiato schieramento, e a un premio di maggioranza giudicato incostituzionale. Continueranno ad averla come prima anche dopo il referendum, nonostante gli allarmismi di chi parla di pericoli di instabilità. Dunque sta a loro fare un governo. Non è necessario il nostro sostegno. Altra cosa è la legge elettorale e la preparazione di una legislatura costituente. Su queste cose siamo non soltanto disposti a collaborare, ma esigiamo di essere coinvolti, come si deve fare in una democrazia».

Lei ha rilanciato l’ipotesi di una legge proporzionale. Non è il tradimento di una storia? Forza Italia è nata con il maggioritario.

«Il maggioritario ha senso in un sistema bipolare, nel quale chi vince rappresenta almeno la metà degli elettori. Aggiungere a questa percentuale, che è molto vicina alla maggioranza anche quando non la raggiunge, un premio per garantire la governabilità, è giusto e ragionevole. Oggi siamo davanti a un sistema nel quale i poli sono tre, e ciascuno rappresenta circa un terzo degli italiani che votano: nessuna forza politica può neppure avvicinarsi alla maggioranza. Se si considera che nessuno dei tre poli supera il 30% degli elettori e che, visto l’astensionismo, il 30% degli aventi diritto al voto si riduce al 15%, si comprende che sarebbe assurdo trasformare questo 15% in una maggioranza, come accadrebbe se passasse questa riforma della Costituzione e non si cambiasse la legge elettorale. Per questo, nelle condizioni date, il proporzionale è l’unico sistema che può garantire l’omogeneità fra i numeri parlamentari e la volontà degli elettori».

Mettiamo che il Pd di Renzi rifiuti il proporzionale, qual è la mediazione praticabile?

«Le subordinate indeboliscono la principale. Parleremo della legge elettorale dopo il referendum, che oggi rappresenta la nostra priorità. A questo proposito mi permetta di ricordare a tutti i Vostri lettori che questo referendum non ha quorum e che quindi, stare a casa, significa favorire il Sì».