Giovedì 18 Aprile 2024

Ballottaggio, Renzi: coalizione inutile, aiuta Berlusconi

Il colloquio. Per il leader Pd perde la sinistra larga. "Sconfitti candidati non miei"

Matteo Renzi (Newpresse)

Matteo Renzi (Newpresse)

Roma, 26 giugno 2017 - EDITH Piaf con Non, je ne regrette rien sarebbe stata la colonna sonora perfetta alla telefonata mattutina con Matteo Renzi. La celebre cantante francese parlava d’amore, il noto segretario del Pd parlava di politica: in comune, la convinzione di non aver «nulla da rimpiangere»; nulla da rimproverarsi. Col tono pimpante di sempre, Renzi contesta la lettura quasi univoca data dai giornali dei ballottaggi di domenica. «Sconfitto io? Non mi pare proprio», dice. E lo dice col pensiero rivolto ai suoi avversari interni. Due riflessioni. La prima, sorridendo: «Si conferma la tesi che i migliori amici del Berlusca sono i suoi nemici. È stato infatti ancora una volta dimostrato che quelli che invocano una coalizione di centrosinistra larga il più possibile fanno il gioco del centrodestra, e non del Pd». Il pensiero di chi ascolta corre a Prodi, Orlando, Pisapia, Bersani... Tutta gente, e questa è la seconda riflessione, evidente corollario della prima, «che da giorni si era preparata la parte in commedia: erano pronti a dire “Renzi perde, vince la coalizione”, ma la realtà è stata un’altra».

Vero. A Genova, ad esempio, con il Pd erano schierati come una falange macedone tutti i partiti della sinistra massimalista a sostegno di un candidato simil Pisapia. Ma hanno perso. «Come abbiamo perso, e anche questa è una sconfitta che brucia, che fa male, a Pistoia». Dove il candidato tutto era fuorché renziano. Obiettiamo che a Padova il renziano Giordani ha vinto solo perché spalleggiato da Arturo Lorenzoni: una sorta di Pisapia locale sostenuto da movimenti e comunisti vari... «Vero – ammette Renzi – ma siamo sicuri che a parti invertite avrebbe funzionato lo stesso?». Renzi riflette molto su questo punto, e quando dice che a uscire sconfitto dal voto è stato (anche) il modello della sinistra larga dice la verità. Quel che colpisce, semmai, è che, parlando con i parlamentari a lui più fedeli, usi l’espressione «uno di noi» per riferirsi ai candidati renziani, e «uno degli altri» quando si tratta di un esponente della minoranza. Due mondi in conflitto. Renzi nega, però, che per il Pd sia stata una disfatta. Posta su Twitter un grafico di Youtrend da cui risulta che il centrosinistra ha preso 67 comuni sopra i 15mila abitanti, il centrodestra 59 e il Movimento 5 Stelle appena 8. Dice che, complessivamente, «la maggior parte degli elettori ha votato per noi».

NEGA, soprattutto, che sia stato un voto su di lui o sul governo da lui ispirato. Non si spiegherebbero altrimenti le vittorie in Puglia e in Campania («dove, peraltro, avevo straperso il referendum istituzionale»). E se temi nazionali come banche e immigrazione avessero pesato sul voto, come interpretare l’affermazione del Pd in Veneto? No, nessuna implicazione nazionale. È stato, dice Renzi, «un voto antisistema. Tendenzialmente, vinciamo dove eravamo minoranza e perdiamo dove eravamo maggioranza». Tendenzialmente. Il segretario del Pd avanza riserve anche sul fatto che a trionfare sia stato Berlusconi. «A trionfare – dice – è stato il modello Toti, l’alleanza tra Forza Italia e Lega con Salvini in posizione egemonica. Perciò, mi chiedo: siamo sicuri che Silvio Berlusconi sia contento?». Chissà, forse no. Però lo sembra. E anche parecchio. Ha riguadagnato la centralità politica perduta, non ha perso la speranza di riformare la legge elettorale in senso proporzionale assieme al Pd. Ma su questo punto Renzi è scettico. Molto scettico. «Con quali voti?», si domanda. Poi si ferma, riflette un istante. Conclude: «No, non ci credo. Non mi pare possibile». L’ex premier appare dunque convinto, o forse rassegnato, che alle prossime politiche, che si terranno non prima della scadenza naturale della legislatura, si voterà col Consultellum. E poi? «Poi si vedrà». Intanto, occorre consolidare l’immagine del governo. Governo di cui Renzi dice solo bene. «I dati economici finalmente dimostrano il buon lavoro fatto. Ormai non c’è più nessuno che contesta la riforma del lavoro», gongola.

CHI SCRIVE resta convinto che il Fiorentino se la passi male. Ha serrato la presa sul partito, l’ha persa sul Paese. Lo dimostra, tra l’altro, la sistematica flessione del Pd nelle cosiddette Regioni rosse, ormai inequivocabilmente rosé. Sappiamo, e lo sappiamo per certo, che nella cerchia renziana c’è chi considera la situazione quasi compromessa. «Nell’interesse dell’Italia e del Pd – dice una fonte più che autorevole – l’unica via d’uscita sarebbe inserire nella manovra di bilancio forti interventi fiscali a sostegno di imprese e famiglie. Per farlo, sarebbe necessario uscire dalla logica dello zero virgola e far crescere il deficit di almeno due punti e mezzo. Pazienza se Bruxelles protesterà. Gentiloni sarebbe d’accordo, quel che pensi Renzi è un mistero». Giriamo la domanda all’ex premier. «No, sono contrario. In futuro, con un governo di legislatura, vedremo. Ma in questa situazione è impensabile chiedere a Padoan di forzare». Mistero risolto, salvo ripensamenti.

COME rinsaldare, allora, il legame con gli italiani? Il 24 settembre Matteo Renzi partirà da Bologna in treno: «Lontano dal Palazzo, nel cuore del Paese», sarà il messaggio. E in sottofondo già riecheggiano le note della Piaf: Non, rien de rien/Non, je ne regrette rien...