Giovedì 18 Aprile 2024

Maso e quella telefonata del Papa. "Ha avuto compassione di me"

Il killer che uccise i genitori: "Non fu per i soldi, mi opprimevano"

Pietro Maso (Ansa)

Pietro Maso (Ansa)

Roma, 20 gennaio 2016 - «ERANO le dieci del mattino e suona il telefono. Ero con Stefania, la mia compagna, rispondo e sento: «Sono Francesco, Papa Francesco». Preso dall’emozione dico ad alta voce: Santità. Era il 2013. Gli avevo scritto una lettera. E lui ha avuto compassione di me». Chi racconta così la sorpresa per aver ricevuto una telefonata dal Pontefice «venuto dall’altra parte del mondo» è Pietro Maso, che il 17 aprile 1991 non aveva ancora 20 anni quando, aiutato da tre complici altrettanto giovani, massacrò i genitori in provincia di Verona. Nella prima intervista dal giorno in cui è tornato in libertà (sul settimanale Chi in edicola), l’ex killer racconta l’antefatto di quella telefonata che, spiega, ha influito sul suo percorso di fede. «Chiedo scusa per quello che ho fatto – aveva scritto Maso a Papa Bergoglio poco dopo l’esito del Conclave – chiedo preghiere per i miei colleghi di lavoro, che mi hanno accettato nonostante tutto, chiedo una preghiera per chi opera per la pace». «Don Guido Tedeschini, mio padre spirituale, consegnò la lettera al Papa – rivela Maso oggi – e qualche giorno dopo il Pontefice mi ha chiamato».    «QUANDO l’ho sentito gli ho detto: ‘Quello che andava al bar John con gli amici, non vale niente rispetto al Pietro di oggi. Se lo avessi saputo mi sarei comportato bene fin dall’inizio», aggiunge l’ex condannato che nel 2012 venne affidato in prova ai servizi sociali per espiare la parte residua della pena definitiva (30 anni e 2 mesi di carcere). E nell’intervista ricorda che, sempre grazie all’interessamento di monsignor Todeschini, da detenuto ottenne anche l’intercessione di Giovanni Paolo II. «Lo seppelliamo vivo come meriterebbe o gli tendiamo la mano e cerchiamo di recuperarlo, tenuto conto della sua giovane età?», si chiese il monsignore dai microfoni dell’emittente cattolica Telepace. «Le sue parole arrivarono a Papa Wojtyla, che quando seppe cosa stava facendo con me gli disse: ‘Vai avanti’», racconta Maso. Nel colloquio l’uomo torna sul movente del delitto per cui entrò negli annali della criminologia, quella mattanza tra le mura domestiche che i giudici spiegarono con la bramosia d’impossessarsi dell’eredità simulando una rapina.    «ADESSO che ho scontato la mia pena lo posso dire: io non ho ucciso i genitori per soldi, perché li avrei avuti lo stesso. Dissi che il motivo erano i soldi perché nel momento in cui abbiamo commesso l’omicidio un mio amico si era fatto fare un prestito ed eravamo sotto con i soldi», prova a spiegare Maso. «Ma ho tentato altre volte di uccidere i miei genitori – rivela subito dopo al giornalista –, tentativi andati a vuoto di persone matte. Io sono stato tanto malato da piccolo e i miei mi dicevano: ‘Non andare a lavorare perché sei malato’, ‘non uscire perché sei malato’, ‘pensiamo a tutto noi’. È come essere gay e i tuoi non lo sanno. Ti vedono diverso, hai 13, 14 anni e stai male e non capisci perché. Non ne puoi parlare liberamente, perché i tuoi non vogliono. Allora stai in casa e soffri perché lì dove dovresti trovare comprensione non la trovi. Anzi, dovresti andare via».  Ora Maso, che annuncia anche la fine del suo rapporto con Stefania e ha perso il lavoro, si è trasferito a Valencia, in Spagna, dove vuole aprire una comunità di recupero. «Io non valgo niente, ma questa idea merita più di me».