Giovedì 25 Aprile 2024

Giù le mani dalle pensioni

NEL SILENZIO sbalorditivo dei media e senza che arrivino smentite, il governo Renzi si appresta a mettere mano alle pensioni in modo tale da assestare un ulteriore colpo gravissimo al ceto medio e mettere a rischio le già tenui possibilità di ripresa economica e di crescita. Cosa sta succedendo, infatti? Dopo avvisaglie da parte del ministro Poletti, interventi del consigliere economico di Palazzo Chigi, Yoram Gutgeld, e infine prese di posizione del presidente dell’Inps, Tito Boeri, il tentativo di rivedere il sistema pensionistico prende il largo attraverso un intervento che con il passaggio forzoso per tutti dal meccanismo retributivo a quello contributivo, cioè con trattamenti legati agli effettivi versamenti, correggerebbe al ribasso molte attuali pensioni applicando retroattivamente il nuovo ricalcolo. Il solo fatto di parlarne con questa insistenza avrà l’effetto di creare una enorme incertezza in larghissima parte del ceto medio, e l’impatto in termini di propensione all’acquisto sarebbe fortissimo. Nessuno può dimenticare che il ceto medio è in gran sofferenza a causa di 7 anni di fortissima crisi economica e i pensionati hanno contribuito al risanamento dei conti pubblici attraverso il blocco dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione.

GIÙ LE MANI dalle pensioni, dunque, perché non si può andare oltre gli interventi fatti. Nel 2011 si è dovuto operare per assicurare la sostenibilità dell’intero sistema e la bontà e necessità di quell’intervento fu dimostrata dal larghissimo appoggio parlamentare e dall’atteggiamento delle parti sociali. Come mai il governo vuole rimettere le mani sulle pensioni? La risposta mia e di Italia Unica è semplice: perché non ha il coraggio né la volontà di sostenere il costo politico di un intervento radicale sul taglio della spesa corrente e sul disboscamento delle partecipate. Vuole procedere come sugli 80 euro: utilizzare demagogicamente preziosi fondi pubblici – cioè soldi dei contribuenti – non per risolvere problemi strutturali come la povertà, ma per racimolare consenso elettorale. Sintesi di questo atteggiamento: nel Def presentato alle Camere sono previsti, per il prossimo triennio, 68 miliardi di tasse in più e 48 di spesa pubblica corrente; investimenti pubblici in calo e crescita, ovviamente, la più bassa d’Europa. La migliore ricetta per il disastro.