Il governo tradisce 50mila esodati. Padoan taglia i fondi, si spacca il Pd

Dirottati altrove 500 milioni. Ira dei sindacati e della sinistra dem

1 - PENSIONE DONNE, 22 MESI IN PIU'

1 - PENSIONE DONNE, 22 MESI IN PIU'

Roma, 10 settembre 2015 - I circa 50mila esodati rimasti fuori da tutte le tutele in questi anni rischiano di dover rimanere ancora senza stipendio e senza pensione. Chissà per quanto. Non basta. Dovranno rinunciare al pensionamento (ma almeno un’occupazione ce l’hanno) le migliaia di lavoratrici che avevano puntato sulla cosiddetta ‘opzione donna’ per lasciare il lavoro, anche al prezzo del calcolo interamente contributivo dell’assegno. La doppia gelata sulle aspettative delle due categorie è arrivata ieri, firmata dal Ministero dell’Economia (in contrasto con quello del Welfare), che ha posto il veto per ragioni di copertura finanziaria su entrambi gli interventi all’esame della commissione Lavoro di Montecitorio.

Immediata la reazione dei sindacati, ma soprattutto del presidente dem della commissione, Cesare Damiano, e dell’ex capogruppo Roberto Speranza: "È inaccettabile. Ora si pone una questione politica che va risolta con il governo, altrimenti si apre una stagione di conflitto parlamentare". "Una scena mai vista e una spaccatura dentro l’esecutivo – incalzano i parlamentari di M5S – che in un Paese normale potrebbe aprire una crisi di governo". Non a caso, a tarda sera, i due ministri Padoan e Poletti tentano di metterci una pezza: "Nei prossimi giorni daremo una valutazione definitiva". La brusca frenata di Matteo Renzi sulle pensioni flessibili era, dunque, solo il primo dei piatti forti sulla previdenza.

Il doppio ‘no’ dei tecnici della Ragioneria dello Stato e del Tesoro arriva durante l’incontro – presenti anche Inps e Ministero del Welfare – con i deputati della commissione Lavoro. Per quanto riguarda gli esodati, in ballo c’è la cosiddetta ‘settima salvaguardia’, da finanziare con le risorse non impiegate per le precedenti operazioni di tutela: si tratta di circa 500 milioni di euro. Per il Mef, però, proprio quelle risorse sono tornate nelle casse dello Stato e non potranno essere più usate per lo scopo indicato. Dunque, viene meno la copertura e la platea dei destinatari del nuovo provvedimento rischia di restringersi fino a zero o quasi. "Noi e ministero del Lavoro non concordiamo con l’interpretazione restrittiva del Mef", spiega Damiano. Fanno eco a stretto giro dalla Cgil: "È intollerabile la posizione del Mef".

Il secondo no tocca la possibilità riconosciuta alle donne fino alla fine del 2014 - e sospesa per l’anno in corso – di andare in pensione a 57-58 anni e tre mesi di età (a seconda che si tratti di dipendenti o autonome) e 35 di contributi, accettando però il calcolo contributivo dell’assegno e, dunque, un taglio che può arrivare anche al 30%. Fino a oggi questa strada è stata usata da circa 25.000 persone dal 2009. Anche in questo caso – aggiunge Damiano – il Mef richiede coperture e secondo calcoli dell’Inps fino al 2023 si tratterebbe di 2 miliardi.

Ora, però, con un’aspettativa di vita delle donne oltre gli ottant’anni, queste lavoratrici percepiranno un assegno decurtato di quasi un terzo per più di 23 anni. Quindi nel lungo periodo si produrranno dei risparmi". "Fare peggio della Fornero era difficile – attacca il vicepresidente della commissione Walter Rizzetto -, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ci è riuscito". Intanto, la Camusso sollecita Cisl e Uil alla mobilitazione perché la flessibilità in uscita venga inserita nella manovra, avvertendo comunque che la tesi di interventi a costo zero è inaccettabile "perché vuol dire che pagano i lavoratori". No, dunque, a calcoli con il metodo contributivo, sì al pensionamento con 41 anni di contributi.