Giovedì 18 Aprile 2024

Pensioni, anticipo a rischio flop. Assegni magri a chi sceglie l’Ape

L’ipotesi allo studio del governo somma penalità e rimborso dei prestiti

Pensioni, sindacati in piazza (Dire)

Pensioni, sindacati in piazza (Dire)

Roma, 9 maggio 2016 - Il Presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio, Cesare Damiano, e il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, lo hanno fatto sapere e spiegato in maniera esplicita: prestito pensionistico e penalizzazioni per l’anticipo non possono stare insieme. Le due vie, sommate, diventano un boomerang soprattutto nel caso di chi voglia uscire volontariamente prima dell’età pensionabile. Dalle parti di Palazzo Chigi, però, le ipotesi allo studio – così come anticipate in questi giorni – mettono insieme le due cose. Il risultato è nei conti che presentiamo. Fino a oggi le due soluzioni sono state sempre elaborate in maniera disgiunta. Metterle insieme è un’operazione che ha un solo scopo: far gravare il meno possibile l’operazione sulle casse dello Stato, nel breve periodo e nel lungo. Un’idea geniale, niente da dire. Peccato che a pagare un conto così salato siano i potenziali pensionandi flessibili. Improbabile, però, che saranno disposti a farlo.

 Anticipati e indebitati. I dettagli dell’Ape, l’anticipo-pensione annunciato da Matteo Renzi, sono tutti da verificare, ma, se saranno confermate le grandi linee del progetto come sono emerse in questi giorni, c’è tutto il rischio di trovarci di fronte o a un nuovo flop (modello Tfr in busta paga) o a una soluzione non solo complicata ma soprattutto dal costo assai salato per chi volesse utilizzarla. Per un anticipo di tre anni e un assegno mensile di 1.500 euro, tra penalità e rata di rimborso si finirebbe per perdere circa 560 euro mensili. Per un assegno di 3mila euro e sempre per un anticipo di 3 anni, il salasso arriverebbe a circa 1.390 euro mensili: in pratica l’assegno si dimezzerebbe. O quasi.    Ma vediamo come e perché si arriva a questo risultato. Secondo il meccanismo di flessibilità ipotizzato, chi dal 2017 volesse andare in pensione in anticipo rispetto all’età pensionabile standard (66 anni e 7 mesi), potrebbe farlo alle seguenti condizioni. Dovrebbe avere almeno 63 anni e 7 mesi (perché l’anticipo massimo sarebbe di 3 anni) e dovrebbe accettare una penalizzazione del 2-3 per cento per ogni anno di anticipo, per pensioni fino a tre volte il trattamento minimo Inps (circa 1.500 euro mensili lordi), del 5-8% per assegni più elevati. Si sostiene che la penalità graverebbe solo sulla quota retributiva, ma questa, per i potenziali interessati (ai quali si applica il contributivo solo per l’attività svolta dal 2012), sarebbe pari a poco meno dell’intera prestazione. A conti fatti, l’anticipo di tre anni comporterebbe un taglio di 135 euro mensili (1.755 euro l’anno). Attenzione: la decurtazione sarebbe strutturale e rimarrebbe anche dal momento della conquista dell’età pensionabile ordinaria. A questa somma si dovrebbe aggiungere la rata di rimborso del prestito (circa 58mila euro, sempre per tre anni di anticipo): l’importo, applicando un tasso di interesse fisso del 3,5%, sarebbe pari a circa 423 euro mensili, 5.100 su base annua, per 15 anni di restituzione. Totale: 558 euro. L’anticipo di un solo anno, invece, costerebbe circa 180-190 euro mensili, quello di due 370-380 euro.  Se i calcoli li facciamo per un assegno di 3mila euro, ipotizzando una penalità del 6% per ogni anno di anticipo, abbiamo un taglio di 540 euro mensili per tre anni di anticipo, ai quali si sommano i rimborsi del prestito (altri 850 euro mensili): in totale 1.390 euro. Una botta vicina al 50%. Se gli anni di anticipo fossero due, il conto scenderebbe a 926 e se ci si limitasse a uno, il prezzo della flessibilità sarebbe di 463 euro.    I casi esemplificati riguardano le uscite volontarie. Per i disoccupati senior, secondo le anticipazioni, non ci dovrebbero essere penalità e il rimborso degli interessi sarebbe a carico dello Stato, ma la restituzione del capitale anticipato graverebbe comunque sulla pensione. Per gli esuberi delle aziende in crisi o in ristrutturazione, infine, il costo sarebbe, in parte, a carico delle imprese stesse, ma la ripartizione degli oneri è tutta da decifrare in quest’ultima ipotesi. Quello che non è un mistero, a questo punto, è perché la flessibilità sarebbe a costo molto basso per lo Stato. Senza contare che è tutto da verificare lo slalom burocratico-procedurale di richiesta dell’anticipo e, dunque, del prestito, tra banche, assicurazioni e Inps.

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