Mercoledì 24 Aprile 2024

Conte, barbera e illusioni. "Non chiamatemi snob"

Il nuovo album dell’avvocato cantautore. Che racconta: "Appartengo fortemente al moderno, anche se il mio è più provvisorio, non ha la forza rivoluzionaria dei primi decenni del '900"

Paolo Conte (Ansa)

Paolo Conte (Ansa)

Marco Mangiarotti

ASTI, 14 ottobre 2014 - BARBERA. Il nonno ci metteva gli agnolotti. Paolo Conte, in coerente eleganza con i suo terroir, presenta l’album che gli rassomiglia, “Snob”, nella cantina Braida di Giacomo Bologna. Il gioco enigmistico fra snob, “il parvenu superficiale”, e la sua tendenza di «evitare fra gli uomini speciali gli intellettuali. Mi sento piuttosto un dandy, che è più puro e profondo».

È SCOCCATA la scintilla e sono venute quindici canzoni e un disco molto bello, che metto nel bigoncio dei migliori. «Snob è una parola (valigia) internazionale – spiega Conte fra le botti francesi del barbera – (come glamour). Nella canzone solo il passaggio di uno snob in provincia, che provoca un piccolo scompiglio risolto con un invito a cena dal marito».

Il primo mondo contiano ritorna in questa mostra sonora, sparigliando luoghi comuni. «Non mi sono mai sentito un cantore della provincia, ne osservo i paesaggi anche umani, ne conosco i caratteri. A volte li canto».

INCIPIT AFRO, con la voce di Jino Touche e un Paolo proto world in “Si sposa l’Africa”, «telefonini stregoni, capre e nuvole e Wimbledon (mi piace il tennis, lo guardo e lo gioco, malissimo)». Ammette. «C’è la voglia di traslocare il nostro quotidiano altrove, l’esotismo, gli anni Dieci e Venti del Novecento». “Maracas” e “Tropical”, la giungla di Harlem (Duke Ellington, 1927) e quella vera, italiani d’Argentina («ne abbiam frustate scarpe a Buenos Aires»). Quando l’esotismo è povero, eroico. Il jazz e quella musica da ballo con il timbro e la punteggiatura classica del secolo veloce. Futurista è l’approccio tecnologico di Conte, mai attuale il suo sguardo: «Appartengo fortemente al moderno, anche se il mio è più provvisorio, non ha la forza rivoluzionaria di allora». Classico e artistico. Artigianale nei dettagli. Le donne sono miraggi di carne, sognate e lontane.

LA SIGNORA genovese che pensa di trasferirsi a Milano per carriera, l’amore crudele di “Incontro”. Quella acida e tosta che ha il profumo forte di caffè. Lessico folgorante: «Bevo un caffè da aviatore, che sta ascoltando un motore... bevo un caffè di colore in piedi sull’equatore». Le cubane dell’Alhambra. Il racconto a molti sensi di un artista che ha capacità di evocare il primo Novecento come nessun altro al mondo. Multimediale antico, perché ascoltarlo è come leggere un libro, viaggiare verso l’altrove, vedere il colore nel bianco e nero di un film.

ARCHEOLOGIA di linguaggio, manuali di conversazioni e sentimenti. Quando ci si innamorava di ballerine spudorate, signorine saponetta, maracas e fandango con la passione dell’enigmista jazz. Da canticchiare in vasca più che sotto la doccia. Il rebus melodico di un signore che si trova a disagio nella vita mondana, «infatti vivo in campagna», in un mondo dove «manca l’armonia, la melodia e il ritmo è banale. Il mio lento, al minimo, in giornate dove la musica regala momenti liberi, sognanti, esaltanti, mentre l’inserimento della parola è fatica e precisione».

RICORDA i cantautori che «mi hanno accolto con affetto un atipico e solitario come me. Ma avevano un’altra cultura, non solo Guccini e De Andrè». La Settimana Enigmistica è l’altro amore, vede il Canale Classica di Sky. Crede che l’Italia «abbia bisogno di una personalità forte che spazzi via tutto». Porterà alcune nuove canzoni in tour «non molte, bisogna aspettare che la gente le conosca e le canti».