Giovedì 18 Aprile 2024

Panama Papers, gli alibi di chi è stato pizzicato

Eredità e parenti avidi. Il Cremlino: "E' Putinofobia". Messi: "Firmo quello che dice papà"

Panama papers: Chen, Messi, Cameron e Putin

Panama papers: Chen, Messi, Cameron e Putin

SI SONO ISPIRATI a Claudio Scajola, l’unico essere vivente nel sistema solare a cui hanno comprato un appartamento vista Colosseo «a sua insaputa», e – per dirla con De Gregori – lo hanno distrutto con la fantasia. Alcune delle giustificazioni fornite da politici, vip e sportivi coinvolti nello scandalo Panama Papers superano infatti per creatività la già leggendaria difesa di Sciaboletta.

Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, per proteggere zar Vladimir si è improvvisato psicologo e ha individuato in poche ore una nuova e pericolosa sindrome. «Tutte queste montature – ha attaccato a testa bassa – si spiegano con l’alto livello di Putinofobia raggiunto fuori dalla Russia. Gli autori di queste inchieste inventano ciò che scrivono: sono ex funzionari del Dipartimento di Stato americano, della Cia e di altri servizi speciali». Andrei Kostin, il presidente della Vtb, la più potente banca statale russa, ha invece deciso di abbracciare la millenaria scuola del «e che male c’è?». Dopo aver liquidato lo scoop come «una sciocchezza» ha aggiunto: «Nessuno ha dimostrato che Putin sia coinvolto. Il suo nome non compare. I conoscenti del presidente hanno business off-shore, ma cosa c’è di negativo in tutto ciò?».

 

APPROCCIO replicato pedissequamente dal portavoce del governo azero. «I figli del presidente Ilham Aliyev

(citati nei Panama Papers, ndr) sono cittadini adulti e – ha affermato il portavoce del presidente – possono condurre gli affari che vogliono: questo non è proibito da nessuna legge». E fin qui tutto facile. Ma quando ad Azer Gasimov è stato chiesto se la famiglia del presidente sia in possesso di quote segrete nei giornali del Paese, il copione russo è stato immediatamente abbandonato: «Non posso dire – questa l’imbarazzata risposta – cosa ci sia scritto in quei documenti».

 

LA TATTICA del silenzio a oltranza è piaciuta molto al numero 10 di Downing Street. I valorosi uomini dello staff del premier inglese, per non fare la figura dei lavativi con i media, si sono comunque almeno sforzati di riesumare il cadavere di Jacques de La Palice. Il presunto coinvolgimento del padre di David Cameron nello scandalo sui fondi offshore «è – ha sagacemente spiegato un portavoce – una questione privata».

MENO si parla, d’altra parte, meno si rischiano figuracce. Uno schema che il numero dieci del Barcellona non è ancora riuscito a mettere in pratica. Lionel Messi, che firma «tutto quello che dice papà», pur essendo pronto a querelare mezzo pianeta ha ammesso di aver creato la società offshore Mega Stars Enterprises, che però sarebbe «inattiva» e non avrebbe «mai avuto fondi e conti». Si vede che per il miliardario fuoriclasse argentino, subito indagato dal governo spagnolo, registrare società nei paradisi fiscali è un po’ come per i comuni mortali collezionare francobolli: un’attività fine a se stessa che si fa per puro piacere.

 

IL PRESIDENTE ucraino Petro Poroshenko ha invece tirato in ballo i suoi predecessori per spiegare agli elettori lo sforzo sovrumano a cui è stato chiamato. «Sono il primo responsabile di alto rango – ha affermato – capace di gestire in maniera molto seria la propria dichiarazione dei redditi, il pagamento delle tasse e i conflitti d’interesse».

 

C’È PERO anche chi vuole distinguersi nel mare dei «non c’entro». La banca norvegese Dnb, pur di farsi notare, è arrivata a giocarsi la carta del ‘flagellante’. L’istituto ha ammesso di aver assistito 40 clienti ad aprire società offshore per evadere le tasse con l’aiuto dello studio legale Mossack Fonseca. Pur precisando di non aver commesso nulla di illegale, Dnb ha spiegato, in un moto di pentimento, che forse «non era giusto aiutare quei clienti». Una frase che, accompagnata in sottofondo da Rimmel, sembra abbia fatto piangere a dirotto per ore il solitario coccodrillo dello zoo di Oslo.