"E' lavoro anche quando dormo. Apple paga perfino i miei sogni"

Giovanni Donelli, ex di Cupertino: vogliono anche i colpi di genio. Ingegnere e oggi imprenditore, Donelli vive in California. Dopo aver lavorato con Steve Jobs ha fondato una sua start up

I lavoratori Apple

I lavoratori Apple

Roma, 29 novembre 2015 - «PER ME è fondamentale staccare nel primo pomeriggio: non riuscirei a fare nulla dopo mangiato. Sarà perché sono italiano, ma il pisolino è sacro». Non ha esitazioni Giovanni Donelli, programmatore e imprenditore di Reggio Emilia trapiantato nella Silicon Valley, California. Il suo passato di ingegnere della Apple ne ha plasmato irreversibilmente la mentalità: per quelli come lui lo smart working è una realtà scontata, più che una bella formula da vendere in un’intervista. 

Quindi ogni pomeriggio si riposa? «Naturalmente. Ora che ho un’azienda mia abbiamo stabilito una company policy ben precisa: niente riunioni dopo pranzo. Anche il mio socio americano l’ha dovuta accettare».

È sempre così lì in California? «Bisogna fare una distinzione fondamentale: un conto sono i lavoratori da salario minimo, quelli che fanno attività ripetitive e poco qualificate da dieci dollari l’ora; un altro sono i cosiddetti knowledge workers: professionisti, creativi, gente che lavora con la testa, che ha idee, e che guadagna molto. È per questi che vale il lavoro libero da orari. Sono persone per cui il tempo non è tanto importante quanto le idee. Questo avviene sia nelle grandi aziende, tipo Apple, Google, Facebook, sia nelle piccole startup come la mia, Astropad».

Com’era il suo contratto quando lavorava a Cupertino? «Nel contratto non c’era alcun riferimento temporale, e non ho mai sentito che ci fosse per nessuno. Praticamente ti possiedono: sei di loro proprietà. Pensi che c’era una clausola che prevedeva che le invenzioni o le idee che avevo, sia all’interno sia all’esterno dell’azienda, e che fossero anche lontanamente di interesse per Apple, appartenevano ad Apple».

Sta dicendo che vantavano dei diritti sulle sue idee future? «Sì, e anche estranee al business dell’azienda! Ricordo l’esatta dicitura: “business attuale o futuro”. Era un modo per garantirsi i diritti dei colpi di genio di un dipendente».

Tutte le idee? Persino un sogno? «Se mi fosse venuta in mente un’idea di valore mentre ero al cinema o al bar, e che riguardasse qualcosa di estraneo ai prodotti Apple del momento, sarebbe stata comunque loro: perché avrebbero potuto avvalersene in futuro. Tenga presente che questa è davvero una realtà molto particolare».

In che senso? «Le faccio un esempio. So per certo che Steve Jobs, ai tempi in cui lavoravo per lui, minacciava pesantemente la concorrenza se cercava di rubargli i suoi talenti. Alzava il telefono e diceva: “Guardate che so quello che state facendo. Non ci provate o ne pagherete le conseguenze”. Qui le idee sono tutto: i prodotti che andranno sul mercato sono frutto di una qualche trovata di un creativo». 

Ma l’ambiente di lavoro? «Cercano di farti sentire il più a tuo agio possibile. Se non te la senti di lavorare, allora è giusto che ti vada a fare un riposino. È la classica situazione win-win: vincono tutti. L’azienda, che ottiene maggiore produttività, e il dipendente, che ha le condizioni ottimali per esprimere il suo potenziale. Un’altra trovata che adottano qui è pagare in stock options: così il dipendente scommette sull’azienda ed è più incentivato: se va bene, incassa di più».

Ora che anche lei è un imprenditore, adotta questa stessa politica nei contratti? «Certamente. In Astropad abbiamo cinque dipendenti, nessuno dei quali lavora fisicamente nella stessa città. Io sono a San Francisco, uno è a Minneapolis, un altro in Oregon. Non potrei controllarli neanche volendo: possono uscire a comprarsi le scarpe quando vogliono».