Giovedì 25 Aprile 2024

Nuotò per salvarsi, rifugiata siriana alle Olimpiadi 2016

Yusra Mardini scappò dalla Siria nel 2015. Salì su un barcone ma al largo di Lesbo il motore si ruppe

Yusra Mardini (Mirko Seifert/dpa)

Yusra Mardini (Mirko Seifert/dpa)

Roma, 4 giugno 2016 - ​DA BAMBINI, sognavano un giorno di partecipare alle Olimpiadi. E da grandi ci andranno, anche se intorno a loro i sogni sono svaniti, la vita è stata stravolta e l’odio ha trionfato sull’amore. Nasce ufficialmente il ‘Refugee Olympic Team’, in codice Rot. La nazionale degli scampati, la squadra dei senza terra, la rappresentanza delle vittime di un mondo senza pietà.

Il Cio aveva annunciato sette mesi fa la creazione di una struttura destinata ad accogliere atleti di valore costretti a migrare dal paese di origine. Quarantatré erano i candidati. Ne sono stati selezionati dieci, sei uomini e quattro donne. Alla cerimonia inaugurale di Rio sfileranno dietro la bandiera del comitato olimpico. Entreranno nello stadio per penultimi, appena prima degli idoli di casa, i brasiliani.

E’ una storia bellissima, un lampo di luce in un panorama buio tenebra.

LA SIRENA. Ideale leader del gruppo è una nuotatrice siriana nemmeno ventenne. Yusra Mardini scappò dalla Siria nel 2015. Era la miglior nuotatrice del paese di Assad, aveva anche partecipato ai mondiali con la nostra Federica Pellegrini. Arrivata via terra in Turchia, Yusra era salita su un barcone assieme ad altri poveri esseri umani in fuga disperata: ma al largo di Lesbo il motore si era rotto. E allora la ragazza, insieme a una sorella, si era gettata in acqua e aveva spinto la carretta del mare fino a riva.

Ottenuto asilo in Germania, Yusra ha potuto riprendere gli allenamenti nelle piscine di Spandau. Probabilmente sarà lei a portare il vessillo dei Rifugiati, nella notte di Rio. E forse ripenserà a quelle ore spese battendo i piedi e mulinando le braccia per vincere le correnti dell’Egeo.

LA COPPIA. Sicuro è l’affetto che in Brasile circonderà Popole Misenga e la sua amica Yolande Bukasa Mabika. Entrambi hanno abbandonato la Repubblica Democratica del Congo, dilaniata dalla guerra civile, quasi quattro anni fa. E hanno trovato sistemazione proprio nei paraggi di Rio: vivono e si allenano a Jacarepaguà. Praticano il judo, lei nella categoria fino ai 70 chili, lui fino ai 90. Lei ha un sogno: «Vincere una medaglia e apparire in tv tutto il mondo per far conoscere ai miei familiari, rimasti purtroppo in Africa, il numero di telefono, non riesco più a comunicare con loro». Lui si sente in missione per conto del Dio dei più debole: «Debbo salire sul podio per dare una speranza a chiunque sia costretto a scappare dalla terra che ama».

GLI ALTRI. Per finanziare la partecipazione ai Giochi dei rifugiati, il Cio ha stanziato una somma superiore ai due milioni di dollari, garantendo agli atleti convocati l’assistenza di tecnici e medici. L’iniziativa sarà permanente, visto che è difficile immaginare che tra quattro anni, alla Olimpiade di Tokio 2020, non ci siano più migranti.

La squadra del Rof è completata dal nuotatore siriano Rami Anis, dai mezzofondisti del Sud Sudan Yech Pur Biel e Paulo Amotun Lokoro, dal loro connazionale quattrocentista James Nyang Chiengjiek, dal maratoneta etiope Yonas Kinde, dalle podiste sud sudanesi Anjelina Nada Lohalith e Rose Nathike Lokonyen.