Musei italiani poco social: Fb e Twitter solo per scaricare materiale

Presentato il Rapporto di Civita #SOCIALMUSEUMS. Social media e cultura fra post e tweet

Report del post Facebook alla rassegna “Firenze un anno ad Arte”

Report del post Facebook alla rassegna “Firenze un anno ad Arte”

Roma, 31 marzo 2016 - I Musei Vaticani? Spopolano su Fb. Quelli Civici di Venezia (11 sedi con oltre due milioni di visitatori all’anno) hanno iniziato a “cinguettare” nel 2009. Nel 2010 è approdata nella rete media anche la Fondazione Musei Senesi. All’estero tutto è avvenuto con altri numeri e  prima:  il Lacma (Los Angeles country museum of Art), ad esempio,  con il suo milione e 202.654 visitatori annui (49esimo nella classifica  mondiale), creò la sua fanpage nel 2008.  E non è un caso. Sono infatti circa 36,5 milioni, il 60% dell’intera popolazione, gli italiani, che utilizzano i social media. Eppure i musei italiani non sono in grado di “sfruttare” questo incredibile bacino di utenti in rete, inteso come tutti i social multifunzionali, ossia Facebook, Twitter e Google+, a cui si associano Instagram, Pinterest e YouTube, ovvero quelli ritenuti più efficaci ed utilizzati dai musei. I motivi? La mancanza di competenze professionali specializzate e un’abitudine sclerotizzata a privilegiare la comunicazione tradizionale one way. Fin troppo eloquenti le parole del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini: «I social network sono un formidabile e gratuito veicolo di promozione dei musei. Ma nel nostro Paese c'è ancora molto da lavorare». 

È quanto emerge da #Socialmuseums. Social media e cultura fra post e tweet, il decimo rapporto dell’associazione Civita presentato all’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma e incentrato sul rapporto fra istituzioni culturali e social media.  Secondo l’indagine condotta con Unicab, l’utilizzo delle piattaforme social, come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori, non costituisce ancora, per i musei italiani, un obiettivo strategico e rilevante. Alla base di questa scelta c’è una scarsa conoscenza delle effettive potenzialità dei social, dovuta alla poca esperienza finora accumulata e alla difficoltà di associare una piattaforma ad obiettivi specifici. Ovviamente fanno eccezione i musei d’arte contemporanea, capaci, al contrario, di richiamare non solo i giovani nativi digitali, ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo. Ma il linguaggio impiegato nella comunicazione dei musei sui social media spesso non è inclusivo e risulta inadatto a un’audience digitale

Dai risultati della ricerca, curata da Luca De Biase, fondatore e caporedattore di Nòva, e Pietro Antonio Valentino, vicepresidente del comitato scientifico di Civita, emergono inoltre due ostacoli capaci di limitare la comunicazione sui social da parte delle istituzioni museali: i vincoli normativi, come quello che riguarda l’utilizzo delle immagini delle opere d’arte sui canali digitali, e le difficoltà finanziarie che non consentono l’acquisizione di professionalità specializzate all’interno dei musei. Per recuperare il tempo perduto e proporsi come soggetti dell’innovazione nell’utilizzo delle tecnologie social, secondo Civita, le istituzioni museali da un lato «devono accrescere il proprio ruolo identitario e valoriale, a garanzia della qualità della cultura trasmessa e a favore di una redistribuzione dell’accesso alla conoscenza, valutando pregi e difetti rispetto ai propri obiettivi»; dall’altro lato i musei «devono essere messi in grado di dare l’avvio ad una progettualità innovativa, volta da ottimizzare le funzioni delle piattaforme social in linea con le esigenze del museo stesso ma anche, e di comune accordo, con quelle di centri di ricerca e imprese innovative del settore». 

Un’occhiata al quadro emerso dalla ricerca, condotta mediante questionario su un campione di 1.112 utenti tra i 18 e i 65 anni di età, corrispondenti a circa 24 milioni su un numero complessivo di 36,5 milioni italiani che utilizzano i social media. L’indagine ha mostrato che le piattaforme sono quasi sempre implementate in stretta connessione con il sito web del museo, arrivando spesso prima del sito stesso:  nove milioni gli italiani (il 36,6% degli intervistati), in prevalenza fra i 25 e i 44 anni, che impiegano i social media per entrare in relazione con le istituzioni culturali. Le donne sono più propense a rapportarsi alle realtà culturali mediante i social media, ad esclusione della fascia tra i 25 e i 44 anni in cui è più alto il numero degli uomini. Se la ricerca di contatto riguarda per il 47,8% direttamente gli artisti, tra i luoghi culturali, ad avere un pubblico online più fedele e affezionato sono gli enti lirici e musicali (14,8%), seguiti dai musei (10,7%), dai teatri (8,2%), dagli spazi espositivi (7%) e, infine dalle biblioteche (6,6%).

Scarsa l’interazione finalizzata all’acquisizione di informazioni per la prenotazione o l’acquisto del biglietto d’ingresso: gli utenti impiegano i social soprattutto per la fruizione virtuale e per scaricare materiali messi a disposizione dalle organizzazioni culturali, mentre la funzione di “user-generated content”, vale a dire di creazione di foto, video e altri contenuti da parte degli utenti, in Italia risulta ancora marginale.

[email protected]