Mercoledì 24 Aprile 2024

Mosul, viaggio nella diga fortezza strappata all'Isis

Da settembre i lavori all'impianto. La visita del ministro Pinotti dall'inviato ALESSANDRO FARRUGGIA

La diga di Mosul, dove lavorano 500 italiani

La diga di Mosul, dove lavorano 500 italiani

Mosul, 11 maggio 2016 - Vista da sotto, vicino allo scarico che proietta un getto d’acqua lungo cinquanta metri, la diga di Mosul - alta 113 metri e lunga 3 chilometri e 400 metri - fa un certo effetto. Ma è dall’alto che il bacino che contiene 11 miliardi di metri cubi d’acqua esprime il suo potenziale. Di distruzione, se la diga dovesse crollare. Economico, se continuerà a produrre energia elettrica dalle sue turbine da 1.052 megawatt. Ma anche simbolico. Perché la diga che fu conquistata dallo Stato Islamico nell’agosto 2014 e tenuta per 10 giorni è un simbolo, e in quanto tale è un target.

Il governo iracheno ha firmato un contratto con l’italiana Trevi che ha già iniziato a costruire il campo che ospiterà oltre 1.200 persone: 70 tecnici stranieri, 700 lavoratori locali e 450 soldati italiani che su richiesta americana e irachena, proteggerano il cantiere che dovrebbe aprire il 2 settembre. La Trevi lavorerà 24 ore su 24 per 12/18 mesi iniettando migliaia di tonnellate di cemento nelle fondamenta della diga, costruita su un terreno totalmente inadeguato: un terreno sul quale solo un regime come quello di Saddam avrebbe piazzato una diga.

A verificare le condizioni operative nelle quali opererà il nostro contingente è venuta ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti, accompagnata dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e dall’ambasciatore italiano a Bagdad. E l’esito è stato positivo. L’Italia si è assunta l’onere, pur sapendo che schierare un contingente di terra lo trasforma esso stesso in un obiettivo dei terroristi. Anche per questo, l’impegno non è stato preso alla leggera: arriverà (il dispiegamento sarà completo a metà settembre) un reggimento di fanteria che potrà contare anche sugli elicotteri della brigata Friuli. «Andiamo in un’area che è sotto controllo curdo - spiega il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano - e che è lontana dalla zona di contatto con Daesh. Una percentuale di rischio esiste, ma le misure di sicurezza saranno comunque in grado di rispondere ad ogni minaccia. Sia convenzionale come azioni con fuoco indiretto come tiri di artiglieria. Sia asimmetrica, come gli ordigni esplosivi improvvisati, gli attacchi kamikaze. Non saremo colti di sorpresa». Una cosa il generale Graziano ritiene improbabile: attacchi dell’Isis per far crollare la diga. «Non credo - osserva - che sia possibile. Il problema che dovremo affrontare sarà invece proteggere il personale che lavora alla diga e quello che la difende».

Se la scelta di andare a Mosul è politica, le valutazioni tecniche sulla necessità del’intervento divergono. Gli americani hanno ripetutamente lanciato l’allarme. Se la diga crolla, dice il Genio militare Usa, sarebbe sommersa da 21 metri d’acqua in soli 45 minuti. «Solo propaganda - ribatte Ryad Ali al Naemi, il direttore dell’impianto - dal 1986 a oggi sono state iniettate 50mila tonnellate di cemento sotto le fondamenta e continuiamo a farlo, al ritmo di 2-4 tonnellate al giorno. Gli americani hanno installato 1.250 sensori, 200 sono leggibili in tempo reale. Noi controlliamo dove c’è una perdita, interveniamo con le trivelle e iniettiamo cemento con additivi. Quotidianamente. E fino a che iniettiamo, non c’è problema». Non solo. «Per sicurezza - prosegue al Naemi - abbiamo abbassato il livello idrometrico della diga di 11 metri. Se crollasse, e non lo farà, sarebbero così spazzati via solo i villaggi sul Tigri, ma a Mosul l’impatto sarebbe minimo. I lavori della ditta italiana sono importanti, consentiranno una soluzione definitiva ai problemi della diga, ma se continua la manutenzione, il crollo catastrofico è escluso».

dall'inviato ALESSANDRO FARRUGGIA