Mercoledì 24 Aprile 2024

Il molo degli occhi lucidi

DICONO che la gente di mare non si emozioni facilmente. Eppure ieri mattina, mentre la Concordia ruotava davanti al porto a fare la sua ultima riverenza all’isola e i rimorchiatori straziavano l’aria col canto acido delle loro sirene, sul molo erano in molti con gli occhi lucidi. A partire dal sindaco del Giglio, Sergio Ortelli.

IL SINDACO provava a celare le lacrime dietro grandi occhiali scuri («Forse mi sarebbero serviti ancora più grandi ma, mi capisca, è un momento storico per noi») alla gente semplice del posto, quasi incredula che quel gigante postmoderno di acciaio, ruggine, vetro e fantasmi se ne andasse per davvero («Oggi finalmente l’isola è di nuovo nostra», ripeteva quasi incredula un’anziana sventolando un foulard).

NOVECENTO giorni dopo, ieri la Concordia ha lasciato per sempre il Giglio. E lo ha fatto grazie a un capolavoro di ingegneria marittima senza precedenti. Un mega transatlantico di 114.000 tonnellate di stazza prima raddrizzato e poi fatto riemergere dal mare e roba da epica omerica, da libro di Giulio Verne. «Con questa nave portiamo lontano anche l’immagine di un Paese che non sa riparare ai propri errori», diceva il sottosegretario Graziano Delrio, inviato dal premier Renzi ad assistere all’evento. Emozione e commozione, ma nessuna manifestazione di festa sopra le righe. Perché quello che si celebrava ieri, per i gigliesi era sì una liberazione, un 25 luglio senza parte politica, ma anche una sorta di funerale del mare, accompagnato non a caso dal suono delle campane che don Pasquotti ha fatto dindondare al momento della partenza. A ricordare così che la Concordia è stata soprattutto storia di dolore e di morte, visto che quel gigante arrugginito che se n’è andato porta probabilmente nella sua pancia ancora il corpo di Russel Rebello («La sua vicenda potrà forse trovare una fine solo quando la nave sarà smantellata», ha ammesso Gabrielli). Così, ieri gli unici a fare apertamente festa sono stati sul molo alcuni operai stranieri che da 26 mesi lavoravano intorno al relitto e che vedevano completato il loro lavoro ciclopico. Roba comprensibile. Per il resto, solo orgoglio per l’impresa compiuta e commozione. Già, la commozione. 

NELL'ULTIMA conferenza stampa, nessuno dei protagonisti di questi giorni è riuscito a parlare. L’ingegner Porcellacchia, che pur non è mai sembrato un imbonitore, ha tenuto ancor di più la testa bassa, smozzicando appena qualche parola («Sloane è il braccio, ma questo è un successo clamoroso dell’ingegneria italiana»), al suo fianco Girotto piangeva e perfino la Sargentini, la donna con voce da baritono verdiano chiamata a controllare che l’ambiente non fosse violentato, si è commossa nel ricordare come tutto fosse andato alla perfezione. «Ma per cantare vittoria definitivamente aspettiamo Genova», tagliava corto scaramanticamente Gabrielli. Già, Genova. La Concordia dovrebbe arrivarci domenica mattina. Con i cassoni di acciaio a farle da salvagente e i due rimorchiatori oceanici a trainarla, all’alba è passata a 10 km dall’isola di Capraia. Vista da vicino, così di nuovo alta sulle onde a mostrare il disegno armonico della prua ma, soprattutto, gli sfregi che il mare le ha fatto sulle fiancate, scatena ancor di più una rabbia prepotente.

PERCHÉ la Concordia quando partì da Civitavecchia, per la gente che salì attirata dal basso costo di una crociera fuori stagione, era davvero il Rex dei signori, quello che Fellini in Amarcord ricorda passare al largo di Rimini. Un’idea di sogno possibile. Oggi, 900 giorni e 32 morti dopo, vederla galleggiare sbrecciata al traino di due rimorchiatori come una vecchia signora che ha bisogno delle badanti per camminare, senza più luci, senza più vita, senza più idea di sogno, è davvero il più spietato capo di accusa per un capitano sciagurato che non sembra avere la portata dello scempio compiuto. Anche in questo, ahimé, una storia italiana.