"Oggi il nostro mondo è indiavolato", Paul Smith ricorda gli inizi da stilista

E promotte esperienza sorprendente con l'installazione alla Leopolda

Paul Smith

Paul Smith

LONDRA  PAUL SMITH, il 70enne designer di moda inglese fatto baronetto dalla regina nel 2000, torna a Firenze per la prima volta dal 1993 e lancia la sua collezione PS by Paul Smith, Autunno-Inverno 2017, con un’installazione piena di sorprese alla Stazione Leopolda. Lo abbiamo incontrato alla vigilia di Pitti Immagine per chiedergli cosa ne pensa del mondo della moda del giorno d’oggi:  «Il mondo del fashion è sempre stato frenetico - dice Paul Smith -ma adesso è diventato davvero indiavolato. Lanciarsi nell’industria creativa, negli anni ’60, era molto diverso da adesso. Tanto per cominciare c’era molta meno concorrenza, mentre adesso il mercato è diventato saturo ed estremamente competitivo. Non che io stessi a guardare questo tipo di cose quando ho iniziato. Non avevo pianificato nulla e l’unica cosa che mi interessava era quella di potermi guadagnare da vivere lavorando nel settore creativo». Come è cominciata la sua bella avventura nella moda? «Iniziai come commesso e poi aprii il mio primo piccolissimo negozio a Nottingham, nel 1970. All’inizio c’era poco afflusso e quindi stavo aperto appena 2 giorni alla settimana. Le cose poi progredirono lentamente, in modo organico, quindi ebbi il tempo di imparare bene questo mestiere. Un’altra cosa forse diversa da oggi è che io mi sono sempre auto-finanziato, cosa che continuo a fare ancora adesso e di cui, devo dire, vado molto fiero. Siamo ancora una delle poche case di moda indipendenti che resistono sul mercato internazionale». Cosa ne pensa della moda italiana?  «Gli italiani hanno la moda nel sangue, nascono già così. Quando uno cresce in Italia, sa che la gente prende molto seriamente il modo di vestire, il gusto e lo stile in generale. È normale essere giudicati in base a quello che uno indossa e quindi diventa necessario fare uno sforzo per essere sempre ben vestiti. Tutto questo è molto diverso dall’approccio britannico, che se vogliamo è più individualista».  Se non sbaglio, lei ha una casa vicino a Lucca. Ci vuole raccontare del suo amore per l’Italia e la Toscana?  «Lucca è un posto semplicemente meraviglioso, pieno di storia, architettura, arte... Come saprà, sono sempre stato un fanatico del ciclismo e quindi adoro andare in bicicletta tutt’intorno alle mura. E poi la casa è vicina al mare e ci passo tutte le mie estati. Ci ritorno anno dopo anno ormai da decenni e non m’annoio mai. È un posto molto speciale per me e poi la luce in Toscana è unica, perfetta per fare foto! A tutto questo ci unisco anche il business, perché molti dei miei fornitori di stoffe si trovano qui».  A chi si ispira più di tutti?  «Senz’altro a mia moglie Pauline. È lei che mi ha ispirato all’inizio della mia carriera perché era un’allieva al Royal College of Art e aveva un’incredibile abilità nella manifattura dei capi d’abbigliamento, che poi mi ha insegnato. Naturalmente, mi piaceva fisicamente, ma anche per il modo in cui si vestiva. Ed è sempre lei ad ispirarmi più di tutti ancora oggi, perché ha sempre mantenuto i piedi per terra ed è una persona molto calma».  A Firenze lei ha voluto fare un’installazione invece che una sfilata. Perché questa decisione?  «Non voglio rivelarle troppo ma le dirò che si tratta di un’installazione ad alta energia che spero sorprenda. L’ultima volta che venni a Pitti Uomo era il 1993, quindi per me è fantastico ritornare qui dopo così tanto tempo. È da molto che io e Raffaello Napoleone (CEO di Pitti Immagine, ndr) parlavamo di tornare a fare qualcosa insieme e sono molto contento che finalmente questo si sia realizzato».