Giovedì 25 Aprile 2024

Armi, l'Italia ha il record di esportazioni in un mercato miliardario

Un mercato miliardario e lobby potenti

Armi (Olycom)

Armi (Olycom)

Milano, 4 maggio 2016 - Negli Stati Uniti l’argomento torna alla ribalta a ogni sparatoria: conviene tenere in piedi un mercato libero delle armi da fuoco? Con 13,5 miliardi di dollari di fatturato nel 2015, solo da pistole e munizioni, esportazioni al 4% e un impatto sull’economia nazionale stimato in 49,5 miliardi di dollari tra diretto e indiretto, l’industria delle armi è una lobby potentissima, che ha ben difeso i propri diritti al Campidoglio, facendosi forte (ma sono stime degli stessi produttori) di 21mila nuovi posti di lavoro. Ed è solo la fetta che riguarda pistole e fucili e non un’industria più complessa, quella della difesa, che vede Washington in cima al podio internazionale per investimenti. In quei 270-310 milioni di armi che gli americani tengono nel cassetto per difesa personale, ci sono anche prodotti made in Italy. Lo scorso anno gli Stati Uniti sono risultati la prima destinazione delle armi che l’Italia produce, per un controvalore di 298 milioni di euro, di cui la metà proprio per il settore privato. Seguono la Francia, con oltre 177 milioni di euro, la quasi totalità per armi e munizioni di tipo militare, e il Regno Unito, che assorbe più di 82 milioni di euro, di cui circa la metà di tipo militare.    Lo scorso anno l’Italia, solo per le esportazioni di armi da fuoco comuni, cioè utilizzate per la difesa personale, per sport o per la caccia, ha registrato un calo di 4,85 punti percentuali nelle esportazioni, dopo un anno record come il 2014, in cui l’industria del Belpaese aveva sfiorato la quota di 405 milioni di euro. Ma nonostante i capricci e le altalene degli acquisti, l’Italia risulta nell’intero decennio 2003-2012 e anche nel più recente biennio 2013 -2014, il principale Paese al mondo per export di «armi comuni», sorpassando anche quei grandi consumatori che sono gli Stati Uniti e la vicina Germania. Si calcola che al mondo le esportazioni italiane ricoprano il 15,9% di tutto il commercio internazionale di questo segmento e nell’ultimo quadriennio l’industria nazionale mantiene le proprie vendite oltre confine su valori sempre superiori ai 350 milioni di euro. Epicentro della produzione è il distretto di Brescia, che pure lo scorso anno ha visto erodere del 13% la propria quota di esportazioni rispetto all’anno record del 2014, quando in soli dodici mesi era cresciuta del 9%. Secondo studi interni nel triennio 2013-15 il Bresciano è diventato la principale area di esportazione di "armi e munizioni" di tutto il territorio italiano, con oltre un quarto del volume e basandosi su prodotti che costano meno, poiché si è specializzata nelle armi di piccolo calibro, insieme alla vicina Lecco e alla provincia di Pesaro e Urbino. 

Al contrario le province di Roma, La Spezia e Livorno sono sede di industrie di armamenti pesanti come, ad esempio, Simmel Difesa (oggi parte del gruppo francese Nexter) nell’area della Capitale, Oto Melara nello Spezzino e la Wass in Toscana. Finora l’Italia ha sempre guardato all’estero per vendere i propri prodotti; ma come cambierebbe il mercato se allargassero le tutele alla difesa personale dentro le mura di casa? L’Idv ha di recente iniziato una raccolta firme per «depositare in Cassazione una proposta di legge popolare per punire più severamente la violazione del domicilio attraverso il raddoppio delle pene (ora fissate da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni, noi vogliamo portarle ad un minimo di un anno e ad un massimo di sei) e potenziando le possibilità di legittima difesa, invero ad oggi alquanto limitate», con l’obiettivo di risparmiare da qualsivoglia «condanna o reato chi si difende in casa propria da ladri e delinquenti». Materia per giuristi, ma anche per economisti, perché potrebbe avere influssi sull’acquisto di armi da difesa. Come dimostra l’esempio degli Stati Uniti.