Giovedì 25 Aprile 2024

"Io, a sedici anni drogato di farmaci". La confessione choc

Il racconto di un ragazzo ospite di San Patrignano. "Falsificavo le ricette"

Farmaci

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Roma, 28 maggio 2016 - MOGADON, Paracodin e altri antidolorifici se li buttava giù con una birra dopo l’altra. Roba da cinquantasei compresse al giorno, a sedici anni per tre anni, «con l’illusione di sentirmi più figo, di cancellare le mie timidezze». I farmacisti come dei pusher, inconsapevoli, visto che le ricette obbligatorie per acquistare quei medicinali «me le falsificavo con lo scanner. Non era poi troppo difficile... ».  Oggi Giacomo, il nome è di fantasia, di anni ne ha 22, gli ultimi tre passati a San Patrignano dopo che «i miei genitori mi avevano sbattuto fuori casa e io, senza il becco di un quattrino, lentamente ho preso coscienza che dovevo farmi aiutare, se non volevo sprofondare ancora più in basso».  Come ha iniziato a farsi di analgesici? «Diciamo che ci sono arrivato dopo aver sperimentato un po’ tutte le droghe. Il primo spinello l’ho fumato a 13 anni... Non ho provato solo l’eroina, perché, nella considerazione generale, si pensa sempre che sia quello l’unico stupefacente a procurarti dipendenza. Ma è una balla colossale». Canne ed ecstasy non le bastavano più? «Mi sentivo così depresso che avevo bisogno di trovare qualcosa che mi facesse pensare il meno possibile ai miei problemi. Così, dando un’occhiata sul web, mi sono convinto che la soluzione potesse essere nell’abuso di medicinali». In famiglia l’aria era pesante? «No, no, ho dei genitori tranquilli, normalissimi. Piuttosto ero io che mi sentivo inadeguato, timido, sempre a disagio». Si ricorda la prima ricetta? «Me la compilò normalmente il medico di base: una scatola di Xanax, un oppiaceo di sintesi della stessa famiglia del Metadone. Tutto in regola».  Sì, almeno fino a quando non è intervenuto lei a cambiare le carte in tavola, o meglio, le ricette per i farmacisti. «Mi è bastato scannerizzare la firma del dottore e il suo timbro, prendere dei fogli bianchi della stessa misura di quelli usati dai medici e, di volta in volta, prescrivermi gli analgesici che mi servivano».  Al di là del banco nessuno si è mai accorto di nulla? «Per tre anni sono andato avanti così... Ogni giorno spendevo circa 16 euro, per esempio per due confezioni di Xanax da un milligrammo, da 28 compresse ciascuna. Solo una farmacista s’insospettì per quello strano giro di ricette. Ho levato i tacchi e ho cambiato farmacia».  E i suoi genitori? «Loro hanno capito subito che qualcosa non andava. Quelle sono medicine che provocano sonnolenza, almeno nella prima ora dalla somministrazione. Poi, se uno riesce a stare sveglio, è come se piombasse dentro a una nebbia. Si è come come ipnotizzati». Una vita pessima, non trova? «Senz’altro, comunque inizialmente papà e mamma, anche perché non potevano costringermi a smettere, hanno pensato che fosse meglio quel tipo di droga rispetto ad altre».  Sedici euro al giorno di spese farmaceutiche: dove li trovava i soldi per ‘annullarsi’? «Facevo la cresta sulle birre. Le acquistavo a poco e poi le rivendevo alle feste alzando il prezzo. Il resto me lo procuravo purtroppo anche rubando in casa. In parte rientravo nei costi, ma ogni mese andavo sotto di cento euro o più».  Come è entrato a San Patrignano? «Dopo che i miei genitori, stanchi e impotenti di fronte alla mia dipendenza, mi avevano cacciato di casa. Per qualche notte ho dormito in una soffitta abbandonata, poi, anche perché non avevo più un euro, ho deciso di farmi aiutare. In principio con poca convinzione, per la verità». Che cosa vede nel suo futuro? «Qui in comunità ho ripreso a studiare. Quest’anno dovrei maturarmi, poi mi piacerebbe iscrivermi a Psicologia». Con i suoi genitori ha recuperato un minimo di rapporto? «Sì, loro mi stanno seguendo in questo percorso di recupero. A settembre ritornerò a casa per la prima volta in tre anni. Ora finalmente sono più sereno». Auguri Giacomo. «So che posso farcela».