Giovedì 18 Aprile 2024

Un braccialetto alleato delle nostre arterie

Il test dell'indice della pressione caviglia/braccio può svelare una cardiopatia nascosta

Una rappresentazione del test dell'indice pressorio caviglia-braccio

Una rappresentazione del test dell'indice pressorio caviglia-braccio

Roma, 27 maggio 2015 - Un test del braccialetto, forse poco noto ma molto utile, salverà le nostre arterie. Basta misurare la pressione alla caviglia e fare il rapporto con quella presa come di consueto al braccio per avere un indice accurato di rischio cardiovascolare: chi ha un punteggio caviglia/braccio, o ABI index, superiore a 0.9, ha reni, cuore e arterie più protetti rispetto a chi non supera la soglia. Lo dimostra la nuova analisi dello studio AraPacis della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) pubblicata su British Medical Journal Open, secondo cui, per i pazienti con fibrillazione atriale, la valutazione potrebbe aiutare a individuare coloro che hanno maggior bisogno di un monitoraggio stretto della funzione renale. Stando ai dati emersi dall'indagine, infatti, un paziente con fibrillazione atriale su cinque ha l'ABI index troppo basso ed è quindi a rischio particolarmente elevato di sviluppare insufficienza renale.

La fibrillazione atriale è l'aritmia cardiaca più diffusa, una persona su quattro la sviluppa prima o poi nel corso della sua vita e in Italia i pazienti sono oltre un milione. Gli esperti della SIMI hanno deciso di valutare se vi sia un'associazione tra la pressione arteriosa registrata in diversi distretti corporei e il pericolo di danni renali e cardiovascolari in questi pazienti, andando a rianalizzare i dati di circa 900 partecipanti dello studio osservazionale ARAPACIS, condotto in tutta Italia per verificare la presenza di complicanze periferiche della fibrillazione atriale.

L'analisi dei nuovi dati raccolti attraverso lo studio ha mostrato che solo il 23% dei pazienti con fibrillazione atriale ha una funzione renale normale, uno su tre ha almeno un lieve deficit – racconta Francesco Violi, coordinatore dello Studio e Past President SIMI -. I risultati mostrano soprattutto che i soggetti ad alto rischio di rapida progressione del danno renale, e quindi a maggior rischio cardiovascolare in generale, possono essere riconosciuti efficacemente e semplicemente con un test di rapida esecuzione: basta misurare la pressione alla caviglia, al braccio e poi farne il rapporto per ottenere un'idea precisa del pericolo di insufficienza renale. Un ABI index basso, inferiore a 0.9, indica che la pressione nelle gambe è inferiore rispetto a quella della parte superiore del corpo: ciò significa che c'è un'aterosclerosi diffusa e concentrata agli arti inferiori e questo si associa a un'aterosclerosi consistente anche nel distretto renale. Da qui il maggior rischio di deterioramento rapido della funzionalità renale.

I malati con un indice basso hanno una progressione più rapida del danno renale: il rischio di insufficienza renale è una volta e mezzo maggiore rispetto a quello di pazienti in cui la pressione nelle gambe è più simile a quella registrata come di consueto al braccio. Un indice ABI basso è un marcatore di aterosclerosi sistemica e soprattutto di danno vascolare - osserva Violi - Il parametro individua non solo i problemi vascolari delle coronarie o delle arterie cerebrali, ma anche della circolazione in organi-chiave per la salute generale e cardiovascolare come i reni. Per questo può essere molto utile per riconoscere chi è a maggior rischio di danno cardiovascolare e renale e quindi, ad esempio, ha necessità di un più stretto monitoraggio di parametri indicativi della funzionalità renale, come la creatininemia.

Alessandro Malpelo