Mercoledì 24 Aprile 2024

Max Pezzali ai tempi del talent. "È tutta questione di Voice"

L’ironia del cantante-giudice: "Io in gara? Non mi avrebbero preso"

Max Pezzali, giudice di 'The voice' (Galbiati)

Max Pezzali, giudice di 'The voice' (Galbiati)

Milano, 4 maggio 2016 - Max Pezzali, lei è uno dei quattro coach di “The Voice”, i cui ascolti sono, per Raidue, piuttosto lusinghieri. Cosa differenzia “The Voice” dalla miriade di talent analoghi?

«La dinamica interna tra noi quattro. Qui non sono importanti solo i talenti che si sottopongono al nostro giudizio, ma anche il modo in cui reagiamo. È una metafora di come davvero la musica agisca sulle persone. Facciamo più spettacolo, invece di appiattirci su uno svolgimento ripetitivo e sequenziale come da altre parti».

Nei talent, non solo musicali, spesso i giudici finiscono per scegliere ruoli ben precisi: il cattivo, il buono, il conciliante... È così anche per voi?

«Stiamo facendo spettacolo e quindi è una tendenza quasi inconscia indossare dei panni. È lo stesso meccanismo del wrestling. Noi non siamo partiti con idee preconcette, però gli autori ci hanno studiato e, montando l’enorme mole di girato (ogni puntata viene da 5 ore di materiale) scelgono le scene che enfatizzano alcune nostre caratteristiche. Devo confessare che accettando la trasmissione temevo che tutto fosse più scritto, invece ci lasciano fare quello che vogliamo».

Litigate molto?

«È talmente bello lavorare con colleghi che stimo che sarebbe impossibile... Con Emis Killa c’è un rapporto zio-nipotino, Dolcenera ha una straordinaria competenza musicale, e Raffaella è Raffaella... Quando ero piccolo e dovevo fare le vaccinazioni mia madre mi teneva buono facendomi ascoltare “Maga Maghella”».

Avrei voluto chiederle se ai suoi tempi, se fossero esistiti i talent, l’avrebbero promossa. Poi ho scoperto che gli 883 sono nati proprio a una specie di talent, il Walkie Cup Competition, presentato da Jovanotti al Rolling Stones di Milano nel lontano 1989.

«Era una manifestazione prodromica ai talent: ti buttavano sul palco e tutto quello che potevi vincere era qualche brutta figura... Per rispondere alla domanda: no, di sicuro non mi avrebbero preso. A me piaceva scrivere canzoni, ma siccome nessuno le voleva cantare ho dovuto farlo io. Non ho mai avuto grandi doti vocali, qui invece ci sono dei mostri».

Come è cambiato l’ambiente musicale degli aspiranti artisti oggi rispetto ai tempi di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”?

«Oggi le informazioni viaggiano più velocemente, tutti i ragazzi, da Caltanissetta a Milano, ascoltano la stessa musica. Quindi è forte il rischio di omologarsi. Inoltre chi viene qui è più sgamato, ammicca alla telecamera, rischia di perdere la freschezza».

Però lei ha detto che il suo punto di osservazione resta comunque la provincia, cioè Pavia...

«Le distanze si sono accorciate. Una volta quello di Pavia lo riconoscevi perché indossava un giubbotto che andava di moda a Milano due anni prima, e di una taglia più grande. Oggi sai in tempo reale quello che succede a Milano, ma proprio per questo avverti ancora di più di non essere all’altezza».

Il 29 giugno da Roma parte il suo nuovo tour. Di recente ha detto che di questi tempi è sempre più importante “intrattenersi collettivamente”. Cosa intende?

«Senza voler fare il vecchio (anche se lo sono) ho notato - e ho condiviso l’osservazione con qualche collega - che ai concerti c’è sempre più gente che invece di guardare il palco ha la schiena piegata e gli occhi puntati in basso sullo smartphone. Oppure tanti invece di godersi il concerto direttamente lo guardano attraverso lo schermo del telefono. Oggi sempre più la socializzazione ha bisogno di fisicità. La gente ha bisogno di uscire di casa, di moto a luogo. È bello condividere le stesse sensazioni con tante gente, è l’autentico qui ed ora. Ai miei tempi ci si trovava al bar alle 8,30, e se arrivavi tardi gli amici se n’erano già andati via e non c’era più modo di ricontattarli. Oggi si chatta tutto il tempo, ma la comunicazione è anche, forse soprattutto, non verbale. Siamo animali che hanno bisogno di contatto fisico».