Le lacrime di Bossetti in tribunale. E la moglie sfreccia in Porsche

La sentenza arriverà a luglio. La difesa: «Un processo-tortura»

Combo: Bossetti con la moglie

Combo: Bossetti con la moglie

Bergamo, 28 maggio 2016 - IL PRIMO luglio non sarà solo il giorno della sentenza per l’omicidio di Yara Gambirasio. Prima di pronunciarla, la Corte d’Assise di Bergamo dovrà decidere chi è Massimo Bossetti. Il predatore notturno che ghermisce bambine inermi, le aggredisce, le colpisce, le abbandona a morire in solitudine, da blindare all’ergastolo? Oppure un irreprensibile muratore bergamasco descritto dalla difesa, innamorato degli affetti familiari al punto che nell’udienza di ieri si è sciolto in pianto quando uno dei legali ha evocato i suoi bambini?   NELL’AULA si attende l’annunciato arrivo di Ester Arzuffi, ma la madre dell’imputato non si presenta, trattenuta da un leggero malessere e soprattutto dall’emozione. Compare invece la moglie, Marita Comi, giunta in tribunale a bordo di una Porsche Panamera color rame, con targa del Principato di Monaco, pilotata da Ezio Denti, uno dei consulenti della difesa. In aula scambia un sorriso con il marito per fugare le polemiche seguite alla lettera hard di Bossetti con la detenuta. Parola alla difesa. Claudio Salvagni parte all’attacco. «Questo è un processo di emozioni, di suggestioni. È un processo altamente mediatico. C’è una informazione malata, appiattita». Per la vicenda giudiziaria di Bossetti parla di «colpi bassi», di «tortura» come per l’acquisizione delle lettere fra il carpentiere di Mapello e la detenuta Gina. Definisce una «perla» un video diffuso alla stampa che secondo l’accusa riprende il furgone dell’imputato. «È stato confezionato come un pacchetto dono per tranquillizzare le gente, che aveva bisogno di avere il mostro, il pedofilo, il mentitore seriale inchiodato alle sue responsabilità». Definisce «atto gravissimo» la deposizione di un ufficiale del Ros che ha testimoniato che quando fu trovata Yara stringeva «dell’erba radicata nel terreno». «Non è possibile trasferire alla Corte qualcosa come indiscutibile quando invece non è vero».   LA DIFESA ripropone l’ipotesi che Yara possa essere stata uccisa in un luogo diverso dal campo di Chignolo d’Isola. Perché non è stato cercato il sangue sotto il cadavere? Perché il colletto bianco della maglietta era intonso, nonostante la ferita al collo? Era difficile penetrare nel campo, anche gli operatori della polizia hanno avuto le tute strappate più volte dai rovi. Allora come è stato possibile correre, fuggire, inseguire, praticare ferite precise e millimetriche come quelle sui polsi? E perché sono stati trovati tanti peli e fibre nelle ferite se la piccola vittima era vestita?  Il difensore Paolo Camporini cala un argomento ‘forte’. Parla dell’allineamento operato dalla difesa con i suoi consulenti degli orari delle telecamere che avrebbero ripreso il furgone cassonato di Bossetti la sera del 26 novembre 2010, quando Yara scomparve. Fra l’orario riportato nelle immagini e quello reale esiste una discrepanza di 12 minuti. Non è l’autocarro di Bossetti e se anche lo fosse sarebbe transitato alle 18.35, un quarto d’ora prima che un testimone vedesse Yara avviarsi verso l’uscita della palestra. «L’auto del testimone viene ripresa alle 18.48. Diciamo che gli occorrono due minuti per raggiungere la palestra. Sono le 18.50. A quell’ora Bossetti è già a casa. Se abbiamo ragione noi il processo è finito. O vogliamo farlo su quel mezzo Dna?». Camporini tratteggia il profilo dell’imputato. «Lavoratore indefesso. Una persona più che abitudinaria. Nessun vizio. Nessuna dipendenza. Un carattere mite, a detta di tutti. È un uomo che cerca il consenso. Ha questo bisogno di essere amato». Il muratore di Mapello piange.