Giovedì 18 Aprile 2024

Tom Drury, un caso editoriale. Ma non chiamatelo "il nuovo Haruf"...

Pubblicato da anni negli Usa, lo scrittore "esplode" adesso anche in Italia grazie a Nn Editore. Lo abbiamo intervistato e ci racconta l'America di vent'anni fa e quella di oggi

Tom Drury (foto di Andrea Valtriani)

Tom Drury (foto di Andrea Valtriani)

Firenze, 17 novembre 2017 - In un mondo nel quale tutto è cotto e mangiato nel giro di poche settimane, dal cinema alla musica, può capitare un piccolo miracolo: la scoperta di un autore, di un grande autore, a distanza di molti anni. E il merito del successo italiano di Tom Drury va riconosciuto a una casa tra le più fresche e audaci, la NN Editore, quella che in questi mesi è stata al centro del caso editoriale dell’anno: Kent Haruf e la sua Trilogia della Pianura. Non per nulla Drury sembra proprio il cavallo giusto su cui puntare per i lettori orfani di Haruf, che non può più scrivere per ragioni oggettive: è morto da tre anni.

NN Editore ha pubblicato ad aprile La fine dei vandalismi e a inizio novembre A caccia nei sogni, primi due capitoli di una trilogia ambientata nell’immaginaria contea di Grouse, nel Midwest americano, quel gruppo di stati degli Usa medio-occidentali come Michigan, Illinois, Missouri, Indiana e quell’Iowa dove Drury è cresciuto. Inevitabile pensare all’opera di Haruf nell’immaginaria Holt, in Colorado. Però non dite a Drury che somiglia a Haruf: non sembra gradire e se avrete la bontà di proseguire nella lettura capirete anche perché.

Tom Drury, come si sente ad andare in giro per l’Italia per presentare libri che ha scritto rispettivamente ventitré e diciassette anni fa?

È una sensazione che mi piace molto, durante le presentazioni e i reading che tengo nelle librerie incontro molti lettori che mi dicono di sentirsi in contatto con gli aspetti universali dei miei romanzi. Qualcuno dice che potrebbero essere stati scritti ieri. Altri che hanno l’impressione di aver vissuto in questa contea immaginaria. Mi piace e di questo devo ringraziare la NN, uno degli editori più accoglienti e pieni di energia fra quelli con i quali abbia lavorato.

In Italia è appena uscito “A caccia nei sogni”, che deve il suo titolo a una poesia di Tennyson. Così come ne “La fine dei vandalismi”, quale America racconta attraverso questi luoghi e questi personaggi?

Ne “La fine dei vandalismi” c’è una visione utopica in un Midwest immaginario, dove le comunità sono in grado di guarirsi da sole, dove le persone il più delle volte si aiutano a vicenda, dove tra i personaggi c’è un amore sottile. Poi in ‘A caccia nei sogni’ questa utopia inizia a spezzarsi.

Perché? Cosa è successo?

Volevo studiare le possibilità dell’amore in un contesto più duro, per esempio quello nel quale le armi si fanno più minacciose. O quello dove si deve affrontare la difficoltà di crescere come figlia adottiva. E ancora di tenere unita la famiglia quando una figlia data in adozione torna alla sua madre naturale. Tra il primo e il secondo romanzo si passa da una dimensione più corale e dilatata nel tempo a vicende che si sviluppano nel giro di pochi giorni e che riguardano principalmente una sola famiglia, i Darling.

Già, le armi. Fa impressione leggere un suo personaggio, Mona Lomasney, dire che «il problema è quello: troppe ca... di armi». Lei lo ha scritto 17 anni fa, noi lo abbiamo letto tre giorni prima della strage in Texas e un mese dopo quella di Las Vegas.

Sì, Mona aveva colto nel segno. C’è una terribile frustrazione negli Usa riguardo alla mancanza di volontà della politica di affrontare questo argomento, che è chiaramente una minaccia mortale. I legislatori twittano pensieri e preghiere, ma credo sia ovvio rispondere che non è abbastanza. Si deve fare qualcosa perché non accada più e dobbiamo pensare a che cosa.

Come è cambiata l’America in questi anni, da quando ha scritto i romanzi a oggi?

Credo sia cambiata molto. Le ultime elezioni sono state uno shock terribile per gli Usa e per il mondo. Credo spetti a ciascuno decidere di non farne parte, io resisterò con i mezzi che ho a mia disposizione. Anche i miei romanzi parlano di persone davanti a delle scelte: sta ai cittadini, visto che il gioco si è fatto duro, decidere di fare la cosa giusta, alzarsi e fare in modo che questo posto non diventi quello che minaccia di diventare.

Intanto lei si è trasferito a Berlino, dove insegna.

Sono in Germania dal 2015, avevo voglia di cambiamento e ho scoperto di apprezzare molto Berlino. Vi sono arrivato d’estate, quando dà il meglio di sé. Sono tornato negli Usa per un semestre di insegnamento in Virginia, poi sono tornato e ho scoperto con piacere che mi sentivo a casa.

Stesso editore, la forma della trilogia, stessa ambientazione immaginaria nel cuore degli Usa. Inevitabile accostare il suo lavoro a quello di Kent Haruf. Che ne pensa?

Non mi dà certo fastidio, questo accostamento, ma non posso riconoscerlo perché... io Haruf non l’ho letto. Ha molti ammiratori e quindi sono sicuro che sia un grande autore ma quando ci sono ambientazioni simili a quelle che ho scelto io evito di leggere quei romanzi perché non voglio esserne influenzato, poi mi sentirei in difficoltà a scriverne.

Nel 2018 uscirà in Italia “Pacifico”, il terzo capitolo della trilogia. Niente anticipazioni, ma ritroveremo qualcuno dei vecchi personaggi?

Sì, certamente, per esempio Micah che è diventato un ragazzo e Lyris, adesso una giovane donna che si è fidanzata con qualcuno che abbiamo già incontrato, ma non vi dirò chi. E anche Dan e Louise, insomma: c’è una sorta di reunion del cast de “La fine dei vandalismi”, ma non tutto.

Ci sarà mai un quarto capitolo?

Ma guardi che io non avevo intenzione di scrivere una trilogia, anche se un mio amico dice che questi tre libri sono catalogabili come “Guerre Stellari” il primo, “L’impero colpisce ancora” il secondo e “Il ritorno dello Jedi” il terzo... Io credo che siano tre libri distinti. Non mi stupirei quindi se mi trovassi a scriverne un altro.

Lei quanto scrive e come scrive? Come funziona il suo processo creativo?

Scrivo molto e taglio molto, quindi il mio metodo è progredire in libertà nella stesura e poi revisionare tutto. Mi pongo delle domande: come posso migliorare quello che ho scritto? Questa parte è davvero necessria? Questi dialoghi possono essere migliorati?.

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