Gli auguri di Saturnino a Jovanotti. "A 50 anni si fa stupire dalla vita"

L’amico bassista: ci divertiamo ancora, come Fellini e Mastroianni

Jovanotti al Palalottomatica di Roma nel 2005 (Ansa)

Jovanotti al Palalottomatica di Roma nel 2005 (Ansa)

MIlano, 27 settembre 2016 - E’ ENTRATO nella tribù nel ’91 e non ne è più uscito. Quando Jovanotti scalava le classifiche con “Ragazzo fortunato”, lui c’era. Al concertone sulla scalinata della Universidad de La Habana, lui c’era. Sul palco del Pavarotti & Friends, lui c’era. E oggi che il Ragazzo Fortunato compie cinquant’anni, lui c’è. Lui è Saturnino Celani, forse il più stretto collaboratore di Lorenzo. Di sicuro il più longevo. Quando s’incontrarono “Jova” veniva dall’album “Giovani Jovanotti” e, nonostante il successo di “Ciao mamma”, era alla ricerca di qualcosa di nuovo. “Saturno” l’ha aiutato a trovarlo. «Sono felicissimo di far parte di questa cosa perché, dopo ventisei anni, mi diverto ancora moltissimo» spiega il bassista ascolano, 46 anni, che ha collaborato pure con Franco Battiato, Pino Daniele, Max Pezzali e diversi altri.

Saturnino, chi è realmente Lorenzo?

«Per me è una specie di fratello maggiore. Una persona a cui chiedere consigli e pareri spassionati. Gli parlo di tutto, del mio pubblico e del mio privato, nella certezza di ricevere sempre un’opinione fuori dai denti. Come capita tra veri amici».

Qual è il rapporto di Lorenzo con la musica?

«Ha una formazione da deejay che lo spinge a considerare gli strumenti dei semplici ingredienti per pietanze e ad utilizzarli come farebbe uno chef con quel che c’è in frigo. Sa esattamente quali utilizzare e come dosarli. Io, da musicista con formazione accademica, sono portato a mettere paletti. Lui no. L’idea di concepire canzoni su basi campionate, di unire nella stessa canzone ingredienti anche molto diversi fra loro, come accade su Netflix pure ai protagonisti della serie ‘The get down’, lui l’ha metabolizzata molto, molto, tempo fa».

E il suo rapporto col pubblico?

«Per me sta tutto in una frase che Lorenzo mi disse anni e anni fa prima di salire in scena: vatti a cercare la luce. Già perché, quando faceva il deejay, era abituato a stare nell’ombra e a vivere passivamente, o quasi, il divertimento degli altri sulla pista. Cercare la luce, per lui, significa tirare fuori la personalità. Ecco perché ho sempre pensato che sarebbe pure un ottimo coreografo, un eccellente regista». 

A lui piace definirsi ballerino.

«Un giorno ero a tavola con Bono Vox degli U2 e quando è uscito fuori il nome di Lorenzo l’ho sentito parlare di lui come di un “super performer”. Definizione, quindi, che va molto più in là di cantante o cantautore».

Nel suo stare in scena c’è più forza o fragilità?

«Più forza. Come tutti, Lorenzo ha traversato esperienze anche molto dolorose e in un sacco di situazioni l’ho scoperto più forte di come l’avrei mai immaginato. Affronta la vita con la convinzione che il meglio deve ancora venire ed è proprio questa fiducia, probabilmente, ad avergli regalato una carriera senza paragoni».

Se la ricorda un’occasione particolare?

«Ai tempi di “Lorenzo 1992”, ad esempio, tutti erano convinti che il primo singolo da mandare in radio dovesse essere “Serenata rap”, ma lui non ne volle sapere e con determinazione da samurai impose “Penso positivo”. Tutti sanno com’è poi andata. Per uno nato sotto il segno della bilancia come lui, una bella prova di carattere».

Riso o malinconia?

«E’ uno di quelli con cui ho riso di più in vita mia; acuto e spesso dotato di una ironia raffinata. Alla Monty Python. Non a caso proprio quella è la serie comica che ci piace guardare di più».

“C’è soleluna dentro di me, c’è l’acqua e c’è il fuoco” canta in una canzone.

«In lui sole e luna trovano un equilibrio perfetto. Mi sembra assurdo che abbia cinquant’anni, perché dentro ne ha poco più di venti. Ci divertiamo ancora come un tempo, come probabilmente si divertivano Fellini e Mastroianni e tutti quelli che non hanno perso la voglia (e il piacere) di lasciarsi stupire dalla vita». 

Tre momenti stupefacenti e stupefatti?

«Una sera a Città del Messico. Sul palco solo lui, Beppe Carletti alla fisarmonica e io al basso. Ci guardiamo negli occhi senza sapere cosa fare, ma Lorenzo prende il coraggio a due mani e dice: “Partite con L’Ombelico del Mondo”. Trionfo. Pure l’omaggio a Pavarotti fra le rovine di Petra fu qualcosa di straordinario. Da perdere la testa. Anche per la presenza sul palco di un amico come Marco Tamburini, ancora presentissimo nei nostri ricordi».

In che direzione sta andando la vostra musica?

«E chi lo sa? Come diceva Joe Strummer: il futuro non è scritto».