Lo Sbarco che cambiò la guerra. Rispunta l’ombra di Lucky Luciano

La mafia e gli Alleati in Sicilia nel ’43: i fazzoletti gialli con la lettera L

I grandi fazzoletti con la lettera L comparsi a Cassibile nel 2010

I grandi fazzoletti con la lettera L comparsi a Cassibile nel 2010

MAFIA, Alleati e lo sbarco in Sicilia: dopo la querelle scatenata dal film di Pif “In guerra per amore”, pubblichiamo - in esclusiva - un’inquietante foto che conferma quanto finora è rimasto avvolto da un’aura di leggenda. Se le infiltrazioni della mafia nel tessuto politico-amministrativo siciliano, nel dopoguerra, sono acclarate, poco si sa, ancora, del ruolo attivo che ebbe Cosa nostra nel sabotare il sistema difensivo italiano prima e durante l’invasione angloamericana del 10 luglio 1943. Per comprenderne le cause, va ricordato che il fascismo, fin dalla prima metà degli anni ’20, con il “Prefetto di ferroCesare Mori, aveva brutalmente annichilito la mafia-delinquenza e attaccato i grandi latifondisti (per i quali i picciotti spesso gestivano la manovalanza agricola) istituendo l’Ente per la colonizzazione del latifondo siciliano. Con l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, non fu, quindi, difficile per il mafioso italoamericano Lucky Luciano, assoldato dai servizi segreti Usa, creare una rete di malavitosi, in Sicilia, pronti a regolare i conti col regime, anche a costo di supportare un’invasione straniera. Secondo alcuni storici, allo sbarco alleato, i mafiosi avrebbero dovuto creare il caos nelle comunicazioni dell’esercito italiano, interrompendo le linee telefoniche e telegrafiche e sbarrando le vie di comunicazione. Inoltre, avrebbero dovuto sobillare la popolazione contro i militari italo-tedeschi di guarnigione. Il segnale d’inizio delle operazioni sarebbe stato il lancio, da parte di un ricognitore americano, di fazzoletti gialli recanti una “L” nera – da Lucky Luciano – sul paesino di Villalba, feudo del capo-mafia don Calogero Vizzini. Di questo segnale si è spesso tramandato, a livello locale, ma la storiografia nazionale non lo ha mai preso sul serio. Una favola, dunque?    A 260 CHILOMETRI da Villalba, il 3 settembre del 2010, lo studioso M.L. si trova, casualmente, insieme ad altri due testimoni, a Cassibile, il paese del siracusano dove, esattamente 67 anni prima, nel 1943, l’Italia aveva firmato la propria resa agli Alleati. Nel caldo pomeriggio, si sta celebrando la ricorrenza di fronte alle autorità italiane e statunitensi; mentre la banda della U.S Navy, in divisa bianca, intona “Stars and stripes”, ecco sbucare da una strada laterale un’automobile sconosciuta con, attaccati sui vetri, tre grandi fazzoletti gialli recanti una “L” nera. L’auto sfila indisturbata davanti alle autorità, ai reduci e ai soldati americani in uniforme storica. "Incuriosito – racconta M.L. – chiesi a un vigile urbano di chi fosse quella macchina e cosa volesse dire quel simbolo. L’agente minimizzò, rispondendomi che si trattava di una ragazzata". Lo studioso scatta una fotografia, allora, per serbare memoria di come, con ogni evidenza, la mafia avesse voluto ricordare alle autorità e al pubblico che, durante lo sbarco, "c’erano anche loro".  Quanto alla gravità del sabotaggio mafioso delle nostre difese militari, incrociando i dati riportati dagli storici più qualificati, possiamo, per ora, calcolare che circa un terzo dei soldati delle quattro divisioni mobili italiane in Sicilia fu messo fuori combattimento attraverso minacce e intimidazioni. Scrive, infatti, lo storico palermitano Giuseppe Carlo Marino in “Storia della mafia” che gli sgherri del boss Genco Russo "consigliarono caldamente" ai militari siciliani la diserzione e il sabotaggio per evitare rappresaglie verso loro stessi e le loro famiglie. Michele Pantaleone, storico originario di Villalba, scriveva in “Mafia e droga” che il 70% dei militari delle divisioni “Assietta” e “Aosta” – corrispondente, appunto, alla quota di soldati siciliani – "scomparve senza lasciare traccia pregiudicando, così, l’intero apparato difensivo dell’isola".    I DISERTORI erano soprattutto contadini e, come tali, da sempre sottoposti alle pressioni dei capi-mafia. A ulteriore conferma, nessun soldato disertò nella divisione “Livorno”, poiché in essa i siciliani erano pochissimi, appena il 9%. La “Livorno” resistette 24 ore presso Castelluccio di Gela, sotto un pauroso bombardamento navale, lasciando sul campo 7.200 uomini dei suoi 11.400. Ogni illazione circa una scarsa combattività dei militari della Trinacria è fuori luogo: i siciliani costituenti il 60% della divisione “Napoli” fecero fino in fondo il loro dovere nel tentativo di respingere gli inglesi e, dopo che la divisione fu smembrata, singoli gruppi di soldati continuarono a combattere incorporati nei Kampfgruppen tedeschi. Tutto ciò fu possibile perché la “Napoli” si trovava nella Sicilia orientale, al di fuori della sfera di influenza dei mafiosi collaborazionisti, attivi, piuttosto, nell’entroterra.  Il sacrificio di migliaia di ragazzi italiani (che, pure, avevano giurato fedeltà al re e non al duce) è stato, per decenni, completamente dimenticato per motivi di opportunità politica. Secondo vari storici, le celebrazioni per l’Armistizio di Cassibile non costituiscono esattamente un omaggio alla loro memoria. Meno che mai, quando ospitano, seppure involontariamente, le partecipazioni di un certo genere di “ospiti”.   

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