Elio Germano, in arte Nino. "Il mio Manfredi come Pinocchio"

Lunedì su Raiuno il film diretto da Luca, figlio dell’attore ciociaro

Elio Germano con Miriam Leone nella fiction 'In arte Nino'

Elio Germano con Miriam Leone nella fiction 'In arte Nino'

Roma, 23 settembre 2017 - Racconta Luca Manfredi: «Giuliano Montaldo chiamava mio padre “l’orologiaio” per la meticolosità con cui preparava i suoi personaggi. Anche Elio Germano è così. Ha mandato a intervistare degli abitanti di Castro dei Volsci, il paese di mio padre, ma solo novantenni perché voleva sentire com’era il ciociaro di una volta. Senza di lui non avrei mai potuto fare questo film». Perché è Germano che interpreta il grande Nino Manfredi, scomparso nel 2004 a 83 anni, nel film “In arte Nino”, in onda lunedì 25 settembre, alle 21,15 su Raiuno, regia di Luca Manfredi, con Miriam Leone nel ruolo della moglie di Manfredi, Erminia. «Non abbiamo voluto fare un film celebrativo della carriera di Nino Manfredi, che ormai appartiene allo storia dello spettacolo italiano. Abbiamo voluto raccontare la vicenda di un ragazzo che veniva dalla Ciociaria e che, con passione e tigna, ce l’ha fatta». Il film, infatti, ripercorre, con sostanziale fedeltà e qualche licenza narrativa, la vita di Manfredi dal ’39 al ’59, ovvero da quando trascorre tre anni in ospedale perché malato di tubercolosi, fino al ’59, quando, con la partecipazione a “Canzonissima”, conquista una straordinaria popolarità. E il tono, sottolineato dalla musica di Nicola Piovani, è lieve e scanzonato, quasi da fiaba.

Germano, compito delicato ricordare Nino Manfredi. Come si è preparato?

«Prima di tutto voglio dire che non avrei mai accettato se non ci fosse stato Luca Manfredi a dirigermi. Con lui avevo la garanzia che sarebbe stato un omaggio sincero, fatto con rigore. Poi ho rivisto i film di Manfredi, ascoltato interviste in cui raccontava vari episodi della sua vita. Scrivendo insieme con Luca la sceneggiatura, abbiamo inserito diverse citazioni, sia dei film sia di questi fatti reali della sua vita».

Si vede che ha studiato la gestualità, gli sguardi di Manfredi. Su cosa si è concentrato in particolare?

«Questo è una sorta di prequel di quella che sarà la grande saga della carriera di Manfredi, e spero che spinga poi gli spettatori, soprattutto i più giovani, a vedere i suoi film. Abbiamo pensato con Luca che fosse importante raccontare da dove veniva, quale era il suo approccio alla vita. Lo abbiamo conosciuto come uno straordinario Geppetto nel film di Comencini, ma qui lui è una sorta di Pinocchio che cede al suo personale Paese dei Balocchi, contro la volontà dei genitori: fare l’attore, una scelta considerata dal padre maresciallo di polizia, che l’avrebbe voluto avvocato, quanto mai sconveniente. Saturnino, in arte Nino, è in qualche modo un sopravvissuto, una persona che con l’ironia, sua principale caratteristica insieme a una grande umanità, riesce a sconfiggere anche la morte. Mi sono mosso con grande umiltà, in punta di piedi, mai pensando di sostituirmi a lui».

Qual è stata la parte più difficile del lavoro?

«Quando si interpretano personaggi realmente esistiti, è sempre un salto nel vuoto. Poi, in televisione, è sempre un po’ il tempo che manca: in cinema questo film si sarebbe fatto in due mesi, mentre lo abbiamo dovuto realizzare in quattro settimane. Però abbiamo avuto la possibilità di provare anche con gli altri attori prima dell’inizio delle riprese, ed è stato importantissimo».

Quali film di Manfredi ama di più?

«Sicuramente “C’eravamo tanto amati”, con la regia di Ettore Scola, uno dei capolavori del nostro cinema. Poi “Per grazia ricevuta”, scritto, diretto e interpretato da Manfredi che con questo film vinse a Cannes il premio per l’opera prima. E anche “Vedo nudo”».

Proprio lunedì compie 37 anni. A questo punto della sua carriera, già ricca di successi, quali sogni e obiettivi?

«Ho sempre vissuto questa professione senza ambizioni. Alla soglia dei quarant’anni non cambierò approccio».

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