Giovedì 25 Aprile 2024

Julio Iglesias: "Vecchio pirata, sempre un signore"

L'intramontabile Iglesias è appena tornato sul mercato con “México & Amigos”. In un brano c'è anche Ramazzotti

Julio Iglesias (Lapresse)

Julio Iglesias (Lapresse)

L’ENCANTADOR con la mano sul cuore è l’artista latino di maggior successo di tutti i tempi. Lo dice il Guinness dei Primati e lo confermano le cifre di una carriera che l’anno prossimo entra nel mezzo secolo. Julio Iglesias è appena tornato sul mercato con “México & Amigos”, album che rilegge a più voci il repertorio del predecessore “México”, fra i migliori della sua carriera. 

Ha pubblicato il suo primo tributo al Messico nel 1976, perché farne un altro e poi trasformarlo in una raccolta di duetti? 

«Perché il disco di 40 anni fa era ‘una mierda’. Così ho voluto registrarne uno come si deve. Poi, soddisfatto del risultato, ho pensato di condividere il repertorio con artisti che sapessero dargli pure altri colori oltre a quelli della mia voce. Cantanti con una sensibilità speciale, curiosi in molti casi di confrontarsi con pezzi ascoltati in famiglia in bocca ai loro genitori. L’operazione è piaciuta, tant’è che il progetto è andato al primo posto di iTunes in 5-6 paesi e la cosa mi ha reso felice perché alla mia età non lo davo certo per scontato». 

Di artisti latini famosi ne ha chiamati diversi. 

«Nel classico di José Alfredo Jiménez “La media vuelta” c’è Eros Ramazzotti, in “Fallaste corazón” il mio amico Placido Domingo, in “Échame a mì la culpa” una gran dama de Cuba quale Omara Portuondo, mentre “Juan Charrasqueado” la condivido con l’argentino Andres Calamaro e suona molto western, alla Morricone. Con Juan Luis Guerra recupero “Júrame”, ovvero “Pensami”».

Julio, come vive il tempo che passa? 

«Vede, se c’è una cosa che nemmeno una persona fortunata come me può permettersi di avere è uno sconto sui suoi 73 anni. Il tempo, infatti, è un gran livellatore sociale; mette tutti sullo stesso piano. E io ho smesso di correre lontano sperando di sfuggirgli. Cedere alle lusinghe del bisturi è stato uno degli sbagli più grossi della mia vita, ma allora il tempo era mio nemico, mentre ora è un amico che giorno dopo giorno mi aiuta a migliorare». 

Eppure c’è ancora chi lustra la sua stella sulla Walk of Fame. 

«So benissimo di aver venduto più dischi grazie al fisico che alla voce, ma la vanità genera solo rimpianti e, passati i sessanta, se la testa non è più forte del corpo, sei finito. Io questo principio ce l’ho in testa dal giorno dell’incidente. Era il ’63 e mi sono reso conto che avrebbe potuto finire tutto in quel momento, la notte del mio ventesimo compleanno. Immobilizzato a letto, capii che quel che conta nella vita non è tanto l’appeal quanto la velocità del pensiero». 

Com’è oggi la sua vita?

«Monacale, ma felice come il pubblico che compra i miei dischi e riempie i miei concerti ha voluto che fosse. Non mi guardo più allo specchio e giro in pigiama, pure in aereo. Oramai mi vesto solo per andare in scena perché il pubblico merita tutto il mio rispetto».

Come s’immagina tra cinquant’anni? 

«Confesso che non me ne frega niente di morire da eroe. Dopo una vita sotto i riflettori vorrei piuttosto uscirmene di scena in punta di piedi... come Marcello Mastroianni o Vittorio Gassman, il volto e l’anima dell’Italia che mi porto nel cuore».   

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