Mercoledì 17 Aprile 2024

L'identità delle coop

C'è stato, per così dire, un salto di qualità. E non sembra che quello compiuto dalla Lega delle cooperative sia un balzo in avanti. Se oggi chi aderisce al variegato mondo cooperativo può godere di vantaggi fiscali, è in memoria dei tempi andati. Tempi lontani, in effetti. Tutto comincia a metà Ottocento col patrocinio di Giuseppe Mazzini e Andrea Costa, che nella cooperazione videro un strumento di liberazione del ceto operaio al pari del sindacato e del partito, socialista prima e comunista poi. Gli echi di quello spirito guidano la penna dei padri costituenti, che all’articolo 45 scrivono: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». E’ uno dei tanti passaggi della Costituzione in cui la poesia della parola scritta si trasforma in prosa nella pratica quotidiana. A Legacoop aderiscono colossi economici di caratura internazionale, e il tentativo di scalata a Bnl ai tempi di Giovanni Consorte ci ricorda quanto la logica della «speculazione privata» ne abbia ormai permeato i ranghi. Un tempo, era il partito ad esercitare una funzione di controllo. Ma quel partito non c’è più: ha perso sia l’identità, sia la forza, Non guida, dunque, ma segue.

Segue gli interessi. Perciò, se prima il Pci-Pds-Ds riservava alle coop una quota di affari in cambio di finanziamenti, ora le coop gli affari se li devono cercare anche sul mercato. E a causa delle nuove norme non finanziano più direttamente il partito bensì le fondazioni private dei suoi leader. Che oltre ai soldi incassano voti di preferenza e consensi alle primarie: quelli degli iscritti alle tante, spesso meritorie, cooperative sociali. Dal ‘sistema Sesto’ di Penati, ai lavori per l’Alta velocità, al Mose, agli affari con il clan dei Casalesi, agli appalti truccati nel brindisino, alle polemiche sul Centro di prima accoglienza degli immigrati a Lampedusa, non c’è scandalo nazionale dove non figuri il nome di un uomo coop. Ma in principio si trattava di rapporti di potere. Come l’imprenditore privato che vuole costruire un villaggio turistico in Sicilia unge i politici locali e stringe accordi con uomini legati alla mafia, così si sono comportati diversi cooperanti. Si sono, cioè, adeguati al sistema. Il salto di qualità è già compiuto. All’indietro, evidentemente. Ma un salto nel salto è rappresentato dall’ingresso in Legacoop di personaggi che un tempo sarebbero rimasti nel limbo riservato agli interlocutori occasionali. Ad esempio Salvatore Buzzi, protagonista dello scandalo Mafia Capitale. Precedenti per truffa e omicidio, fondatore di una cooperativa di ex detenuti e da lì divenuto membro, a Bologna, del consiglio di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi (Cns). «Ti presento il capo delle cooperative rosse di Roma», disse Alemanno a Berlusconi mentre Buzzi gli tendeva la mano. «In Cns sono riverito», ha detto Buzzi in un’intercettazione. E l’incarico di sorvegliante che gli è stato affidato dimostra che non ha detto il falso. Ora, pur evitando facili moralismi, è chiaro che la parola «valori» esibita da Legacoop sul proprio sito s’è persa. Si è persa perché si è persa l’identità di un’associazione di lavoratori nata per nobili ideali, ma cresciuta male. La base, ancora popolata di persone che ci credono, è sconcertata. E non se ne esce costituendosi parte civile nel processo capitolino. Se ne esce affrontando la realtà. La realtà di un’associazione di imprese perfettamente calata nella logica capitalista. Urge metter mano, se non alla Costituzione, almeno allo statuto.