Le frontiere necessarie

CLAUDIO MARTELLI

"DEPECHEZ vous, sbrigatevi» era l’implorazione via Facebook di uno dei sequestrati sotto il fuoco dei kalashnikov nel teatro Bataclan a Parigi. Sbrigatevi, anzi, sbrighiamoci era e resta l’imperativo umano e politico, militare e civile di fronte all’offensiva micidiale del terrorismo islamista. Sbrighiamoci se non vogliamo altre centinaia di morti nelle nostre strade, se non vogliamo che la Francia e i francesi restino soli ad affrontare e a reagire al terrore e a sopportarne le rappresaglie, se non vogliamo che l’Isis e i suoi alleati si radichino in Medio Oriente, nel Sinai, in Libia, in Mali e in tutta l’Africa. Sbrighiamoci a svegliare noi stessi e l’Europa. L’Europa a trazione tedesca è un gigante economico dai piedi di argilla e un nano politico con la testa nella sabbia. Anche il presidente americano Obama va svegliato dal suo torpore, dalla contemplazione malinconica del fallimento della sua Hope. La sua speranza di un mondo migliore, priva com’era di una strategia politica adeguata e realistica, capace di un uso intelligente della forza, si è tradotta in una successione catastrofica di ritirate che ha creato il vuoto occupato dall’esercito terrorista. 

L’EUROPA abituata ad affidarsi alla forza americana si è trovata senza copertura, preda di egoismi si è concentrata sui conti al punto di perdere il contatto con la realtà di un mondo sempre più insicuro e gravido di minacce. Persino uno dei pilastri dell’unità europea, la libera circolazione delle persone garantita dagli accordi di Schengen, le si è rivoltata contro. Il presupposto di Schengen, quando nel 1990 firmai l’adesione italiana, era che le frontiere esterne sarebbero diventate un’unica frontiera e che l’Unione le avrebbe rafforzate assumendone l’onere a livello comunitario con Europol e Frontex. Era ed è evidente un’Unione o Federazione di Stati esiste in quanto ha in comune e custodisce le sue frontiere esterne. Se questo presupposto viene meno prima o poi risorgono anche le vecchie frontiere interne. Questo è quel che è accaduto platealmente quest’estate con le crisi a catena nei rapporti di fronte alle ondate di rifugiati. Già la Danimarca aveva sospeso Schengen per fermare la criminalità transfrontaliera con la Germania.

Poi l’Ungheria, frontiera esterna dell’Unione, lasciata sola ha eretto un muro con la Serbia. Lo stesso hanno fatto l’Austria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia verso l’Ungheria, infine la Germania di Angela Merkel pochi giorni dopo avere promesso di accogliere tutti i rifugiati siriani ha chiuso le frontiere con l’Austria. La Francia, che già aveva chiuso a Ventimiglia quella con l’Italia, dopo gli attentati ha dato il colpo finale. Di fatto Schengen, non esiste più.

 

TEMPORANEAMENTE – non sappiamo quanto a lungo – la libera circolazione tra gli Stati dell’Unione è sospesa e al suo posto sono tornati i controlli di polizia alle frontiere. Conseguenza inevitabile: se non si controllano sul serio e perciò insieme le frontiere esterne, terroristi e criminali sono liberi di muoversi da un paese all’altro senza ostacoli. In altre parole diventano i veri beneficiari delle nostre libertà. Se Abaaoud ha potuto compiere sei attentati nel solo 2015 facendo la spola tra Francia e Belgio, viaggiando in aereo o in auto attraverso Austria, Grecia, Turchia e Siria e poi ancora via Germania e Spagna, e se il suo complice Salah l’agosto scorso ha potuto imbarcarsi con l’auto da Bari destinazione Patrasso e quattro giorni dopo ripetere l’ itinerario, attraversare l’Italia e mezza Europa per tornarsene in Belgio, viene naturale pensare che normali controlli di polizia alle frontiere avrebbero magari potuto intercettarlo. Sì, ci toccherà qualche attesa, qualche coda, qualche controllo e schedatura in più dei nostri passaporti e documenti di viaggio. Un sacrificio minimo dei nostri agi e della nostra privacy in confronto a benefici potenziali in termini di sicurezza semplicemente inestimabili.