La spada delle tasse

BRUNO VILLOIS

LA LEGGE di stabilità - che punta a traghettare il Paese oltre la soglia della ripresa - sembra sulla carta andare nella direzione giusta, seppur con molte incognite. Grandi risparmi della spesa pubblica, riduzione della pressione fiscale, sostegno alle imprese attraverso l’azzeramento dell’Irap, accentuazione della lotta all’evasione: tutto ottimo.

Peccato che, in caso di insufficiente crescita del Pil e di tutto quello che lo alimenta, siano previste micidiali penalizzazioni. Le due aliquote Iva, infatti, aumenterebbero in tre anni del 20%, passando dal 10 al 12% e dal 22 al 25,5%; il taglio delle detrazioni fiscali sarebbe di 4 miliardi di euro nel 2016 e di ben 7 nel 2017.

In soldoni, le tasse nel 2016 aumenterebbero di 20 miliardi di euro, nel 2017 di 30 miliardi, pari a circa l’1% e poi quasi 2% del gettito fiscale diretto e indiretto. Come a dire che la manovra, per realizzarsi, si basa sull’aumento della pressione fiscale. Certo, se il Pil prendesse il volo e toccasse il +2% annuo, a partire dal 2016, tutti gli scatti o diminuzioni andrebbero in soffitta. Le previsioni di Fmi e Ocse, però, sono ben distanti dalla crescita citata. Anzi, alla luce dei dati europei e del rallentamento della Cina, si azzarda attualmente un +1% nel 2016 e un paio di decimali in più nel 2017. Poco per evitare i salassi.

IPOTIZZANDO poi che le riforme promesse vadano in porto - dalla nuova giustizia civile all’azzeramento dell’articolo 18, passando per la sburocratizzazione della macchina pubblica e per l’aumento della capacità attrattiva per gli investimenti - servirebbe una politica industriale illuminata. Una serie di misure, cioè, in grado di far decollare i comparti che oggi tirano ma che, incentivati con agevolazioni burocratiche e fiscali, potrebbero fare di più per il nostro Pil. Impresa ardua in assenza di una politica industriale dichiarata e scadenzata, ad oggi neppure ipotizzata. Per attrarre investitori esteri e incentivare quelli nostrani, però, è necessario abbandonare la ’caccia alle streghe’ contro chi ha la disponibilità a spendere, investire, consumare: lo spesometro, per intenderci, è l’ultimo marchingegno che scoraggia ad esporsi. Regole confuse, burocrazia imperante, esagerati costi industriali, bastano e avanzano a fare da deterrente.

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