Venerdì 19 Aprile 2024

La rotta del destino

di Roberto Pazzi

L’EUROPA ritrova la sua unità davanti alla maestà della morte. Arresa ad ascoltare le storie di quei 150 caduti, quei fratelli tanto a noi simili, come noi in corsa, ignari, proiettati sempre verso il nuovo giorno. Quanto può nelle cose umane la fatalità, quel fattore imponderabile che sfugge alla volontà eppure determina ogni esistenza? Davanti a quei caduti ci si squaderna il volume sibillino scritto dalla sua penna. La natura misteriosa delle cose affiora in questa nostra dipendenza oscura, che se dovesse convincerci davvero della sua potenza finirebbe per chiuderci in casa, nel timore di offrire la gola alla sua lama. Solo cinque minuti prima, solo cinque minuti dopo... Il gioco è tutto qui, nel ritardo o nell’ansia di perdere il turno, il posto, il biglietto. L’errore può allora elevarsi a salvezza, la puntualità precipitare in abisso. Il sindacalista spagnolo che, a 62 anni, dopo il viaggio andava in pensione. La squadra di calcio svedese, che decide di prendere un altro volo senza fare la troppo lunga sosta a Dusseldorf. I sedici ragazzi del liceo tedesco estratto a sorte per lo scambio culturale. Il padre che correva dalla moglie per assistere al parto imminente del quarto figlio. La nonna che viaggiava con figlia e nipotina. La giovane coppia in viaggio di nozze. Il contralto e il baritono tedeschi che avevano appena recitato nel Sigfrido, ignorando che quella degli eroi wagneriani era già la loro maschera. Come sarà stato l’ultimo acuto del baritono nel morente Sigfrido? CERTO non avrà avuto presentimento di cantare la sera della sua vita. «Per sempre richiudesti qualche porta/ e v’è uno specchio che ti attende invano», dice Borges del nostro cieco vagare sul ciglio dell’estremo giorno, senza saperlo. Sono tutte storie intrecciate sul ritmo dell’ultimo giorno, delle ultime ore, degli ultimi otto minuti – tanti ne ha impiegato l’aereo della Germanwings per precipitare sulla montagna –. La mente si smarrisce a pensare che cosa abbiano vissuto in quegli infiniti otto minuti. Come si smarriva la Szymborska, premio Nobel della poesia, davanti alle foto di coloro che, per non bruciare vivi, si gettarono dalle Torri gemelle,ripresi mentre stavano precipitando: «Solo due cose posso fare per loro / descrivere quel volo/ e non aggiungere l’ultima frase».

di Roberto Pazzi