Giovedì 18 Aprile 2024

La mossa di Roma

UN ANNO fa, una persona saggia come Sergio Romano aveva definito il caso Libia come il più assurdo dei paradossi. Nel 2011 i tre grandi potenti della terra, il premier francese, quello inglese e il presidente statunitense – dopo avere forzato l’avallo dell’Onu – avevano improvvisamente deciso di mettere a soqquadro la Libia di Gheddafi, riuscendoci alla perfezione. La maggior parte delle persone di buon senso (se fossero ascoltate, se ne potrebbe trovare ancora) erano perfettamente consapevoli di cosa sarebbe stato il dopo. Anzi, in Italia ne eravamo certi. Subito dopo, accortisi dello sconquasso di cui erano i primi responsabili, i tre grandi si sono subito defilati.  Che cosa rimane della situazione precedente nella ex Libia di Gheddafi? Praticamente niente. A stento, un po’ di petrolio e un po’ di gas, che, oltretutto, sono ormai difficili da trasportare. Obiettivamente, come modello auto-referenziale di democrazia popolare non era un granché, ma oggi ci rimangono solo un dirimpettaio condannato chissà ancora per quanto al caos e al fallimento, un’Italia che, abbandonata con il cerino in mano, si sta bruciando le dita, un Mediterraneo zeppo di navi e di morti, i nostri interessi messi a repentaglio.

ANCHE noi, pur con l’attenuante di essere stati forzati dall’alto in una situazione che non ci piaceva, abbiamo le nostre colpe. È per questo che, a differenza del biasimevole atteggiamento altrui, l’Italia non può permettersi di stare a guardare. È colpevole come gli altri, ma è l’unica a subirne davvero le conseguenze. 

A MAGGIOR ragione dobbiamo intervenire ora che, in modo più o meno diretto, sono proprio i nordafricani e l’Onu (forse memore del disastro di cui è stato all’origine) a chiedercelo. In effetti, il fermento cresce.  Matteo Renzi parla con l’egiziano al-Sisi, Bernardino Leon, il sagace inviato dell’Onu, arrivato al quinto round è venuto a consultarsi a Roma. Il sindaco di Zuwara, intervistato dal nostro Lorenzo Bianchi, ha lanciato l’idea di una conferenza dei Comuni, i più vicini alle tribù, per dare impulso ad una spinta dal basso verso la pacificazione. Piero Fassino, presidente dell’Associazione dei Comuni italiani, chiamato in causa dal collega libico non si è certo tirato indietro, mentre il ministro Gentiloni qualche segnale di apertura anche verso Tripoli, forse per bilanciare il rapporto con Tobruk, effettivamente lo ha lanciato. Lo stesso rapimento dei quattro tecnici è un segnale di stampo mafioso fin che si vuole, ma che invita l’Italia a muoversi.

LA CHIAVE di volta della road-map per un primo avvio della composizione delle rivalità libiche sta proprio nel tavolo marocchino di Bernardino Leon. Questa volta ce l’ha quasi fatta e, con il contributo dei buoni uffici italiani, anche i “moderati” del governo di Tripoli potrebbero accettare il prossimo invito. Questo tavolo, abbiamo detto, è l’ultima speranza. Con un rischio, però. Se al tavolo si accorderanno solo i “moderati” dei due governi, delle fazioni e delle tribù, mentre gli “estremisti” violenti e armati continueranno a chiamarsi fuori, come farà questo futuro direttorio di unità nazionale a farsi rispettare?