Mercoledì 24 Aprile 2024

La mala marsigliese uccide ancora. "French connection" con l'Oscar

Dujardin protagonista del film di Jimenez su una storia vera

Cedric Jimenez (Olycom)

Cedric Jimenez (Olycom)

Parigi, 23 marzo 2015 - HA TRENTOTTO anni ma sembra un ragazzino della banlieue, felpa e cappuccio e faccia sveglia un tantino impunita della gente del Mediterraneo. Dei marsigliesi. Eppure a Cédric Jimenez, regista quasi debuttante se si considera che la sua opera prima (“Aux yeux de tous”) è passata quasi inosservata al grande pubblico, il produttore francese Ilan Goldman ha affidato un budget di 21 milioni di euro e un attore da Oscar per girare la sua ossessione giovanile, “French Connection”, sulla mala marsigliese, 45 anni dopo il mitico “Borsalino” con la coppia d’oro Delon-Belmondo e altrettanti dall’omonimo film del 1971 diretto da William Friedkin. Più cupa e tragica però, questa. Una storia sbagliata. La storia di un fiume di soldi e di un fiume di droga che corrono nello stesso letto, una partita a due fra il boss dei boss Gaetan Zampa “Il Grande” e il giudice duro e puro Pierre Michel, chiamato “lo Sceriffo”, freddato su un marciapiede di Marsiglia nel 1981. Indagava sul colossale traffico di eroina dall’Europa agli Stati Uniti, in cui confluivano gli interessi di Cosa Nostra, della ’Ndrangheta, della French marsigliese di base nel quartiere della Cayolle, per arrivare sotto le mani dei padrini americani. Michel aveva collaborato, per questo, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e come loro non è uscito vivo dalle sue inchieste. I duellanti sono gli attori Jean Dujardin (il giudice), quasi trasfigurato fisicamente dai tempi dell’Oscar con “The Artist”, nel 2012. Dà volto e modi a Zampa, invece, Gilles Lellouche, una Palma a Cannes, tanto per gradire.

 

“FRENCH CONNECTION” è già uscito in Francia a dicembre con un ricco box office e ottime critiche; presentato al Festival di Toronto, si appunta sul petto anche due nomination ai César da poco assegnati. Presentato l’altro ieri a Parigi il debutto italiano: in sala da giovedì prossimo (distribuito da Medusa con CamiMovie), a cui seguirà la prova del fuoco ovvero l’uscita negli Stati Uniti, importante perché con questo polar (poliziesco+noir) dal ritmo serratissimo («à l’américain») il cinema francese cerca di affrancarsi dalla commedia, sia dalla grande, intimista, dei maestri della Nouvelle Vague, sia da quella brillante, di gran moda negli ultimi anni.

Jimenez, un ragazzo che piega al suo perfezionismo un premio Oscar: è stata dura?

«Abbastanza. Dujardin è un attore di commedia e ha movenze e tempi che poco si addicono a un poliziesco così duro. Ma è un grande interprete e capiva bene, e dove non arrivava a capire ci pensavo io, gli facevo fare talmente tanti ciak da sfinirlo così alla fine usciva l’essenza del personaggio e una recitazione asciutta, virile, esattamente quello che volevo io».

Perché la mala marsigliese?

«Io sono di Marsiglia, mio padre aveva dei locali accanto a quelli di Zampa, sono cresciuto vicino al boss, conosco i suoi figli, sua moglie, la famiglia... sono anche venuti a vedere come andavano le cose sul set».

Ci vuole coraggio.

«Non so, certo è che io dico che Zampa e il padrino del più grande traffico di droga dell’Ovest. Lo dico anche se lui non è mai stato incriminato per reati di questo tipo. Sul giudice Michel non ci sono scandali rivelati, vita e carriera limpidissime. L’unica che avrebbe potuto mettermi i bastoni tra le ruote era la famiglia di Gaston Defferre, sindaco di Marsiglia, politico molto potente».

Come ha affrontato la vicenda di Pierre Michel?

«Con sincerità, certo non si può essere completamente giusti o completamente fedeli, ma si può essere totalmente sinceri. E con molto rispetto. Spero di aver reso onore al giudice Michel».

Cédric, lei ha rinfrescato il “polar” che in letteratura ha avuto un amatissimo rappresentante in Jean-Claude Izzo, lo scrittore marsigliese di “Chourmo”.

«Vero, conosco bene Izzo. Le atmosfere dei bar di Marsiglia sono quelle di Izzo, di una città che vive al ritmo del mare, del sole, degli aperitivi... un po’ come da voi in Italia».

Cosa piacerà agli americani?

«Forse c’è qualcosa di un po’ meno spettacolare nei nostri polar ma di più radicato nella vita quotidiana. I nostri personaggi potrebbero esser mio zio o tuo cugino, non è così invece nei film di Scorsese, per esempio, in cui i ruoli sono degli archetipi (anche esagerati a volte)».

I suoi cineasti preferiti?

«Mi sono formato con Coppola del “Padrino” I e II, capolavori, con “Godfellas” di Scorsese, Brian De Palma».

Del cinema italiano che cosa le piace?

«Folgorato da “Gomorra” di Garrone: grandissimo film».