Mercoledì 24 Aprile 2024

Italiani rapiti, la mossa di Tripoli: "L'Italia collabori con noi"

"Mollate Tobruk", dice il premier del governo 'illegittimo'. Il premier islamista chiede il riconoscimento politico. Il governo italiano: "La situazione è gestibile anche se complicata. Temiamo tempi lunghi

Miliziani libici (Ansa)

Miliziani libici (Ansa)

Roma, 24 luglio 2015 - SI SCAVA dietro le quinte. Si scava per capire se Tripoli abbia responsabilità nel rapimento dei quattro italiani – Salvatore Failla, Gino Pollicardo, Filippo Calcagno e Fausto Piano – come forma di ricatto per ottenere un riconoscimento politico in alternativa a Tobruk e incassare forniture militari. È in questo quadro che si muovono gli uomini dell’intelligence, concentrati per riportare a casa i tecnici della Bonatti. E, ancora prima che l’audizione al Copasir del sottosegretario Marco Minniti avesse escluso l’ipotesi degli scafisti come autori del sequestro, è stato il colonnello libico Abid Zaidi, ex del regime di Gheddafi, a negare la possibilità.

Anche oltre sono andate le parole del premier di Tripoli Khalifa al-Ghweil che non considera possibile una «mano scafista» ma ritiene preoccupante che ci siano «criminali che vogliono turbare le relazioni che intendiamo instaurare con l’Italia». Il premier del governo non riconosciuto ha poi sottolineato la «riluttanza dell’esecutivo italiano a collaborare con noi e la sua debolezza nel combattere il terrorismo e i criminali. Questo – ha aggiunto – ha fatto sì che i criminali trovassero un ambiente favorevole per espandersi. Non abbiamo i mezzi e l’Italia non ha fatto niente per aiutarci a combattere il terrorismo in Libia. Pertanto rinnovo l’invito a Roma a collaborare con il nostro governo e non con l’altro». Il messaggio appare chiaro e decrittarlo porta, inevitabilmente, al concetto di riconoscimento politico e a quello di forniture militari, già sollecitate.

L’occasione di quattro italiani da tenere in ostaggio avrebbe convinto Tripoli della possibilità di tirare l’Italia dalla propria parte nello scenario internazionale che ha riconosciuto Tobruk come gabinetto ufficiale libico.

LA VERSIONE ufficiale fornita dalle nostre istituzioni per ora resta distante dal quadro ricostruito sul campo. «La pista degli scafisti – sarebbe stato chiarito nell’audizione al Copasir – non è da considerare. Si tratta sostanzialmente di una banda di soggetti non legati al terrorismo che cerca di monetizzare il sequestro». Nello stesso tempo si ammette, però, che «la situazione è complessa e delicata». «Il pericolo è che i tempi si allunghino. Occorre individuare interlocutori credibili con i quali confrontarsi e che possano portare in tempi rapidi alla soluzione della vicenda».

Minniti ha assicurato il Copasir sulla presenza, in Libia, di una rete pienamente operativa su cui fa perno l’Intelligence. Non reggono, dunque, le illazioni su un possibile «scambio» tra i nostri tecnici e fantomatici scafisti detenuti in Italia. Eventualità a cui, nelle ore scorse, aveva fatto riferimento il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ieri, invece, invitava al silenzio. «È fondamentale – ha detto – in questo momento lasciar lavorare gli investigatori». Con un’aggiunta su cui non ha voluto dribblare: «Anche se ogni dichiarazione non giova – ha specificato il responsabile del Viminale – è ovvio che non si possono escludere piste. L’unica cosa esclusa è che si possa trattare». Posizione che fa riflettere Pier Luigi Bersani: «Ribadire una linea di fermezza – ha sottolineato – non è mai sbagliato, ma in una situazione così confusa teniamoci dei margini. Cerchiamo di riportarli a casa».

L’ANGOSCIA delle famiglie, l’attesa dei colleghi, il lavoro dell’Unità di crisi della Farnesina e degli uomini dell’intelligence. Tutto concorre a creare un clima di grave preoccupazione per la sorte dei dipendenti della Bonatti, che sarebbero stati trasferiti in zone desertiche e impervie dove è più facile trovare nascondigli. «Le forze della diplomazia, dell’intelligence e della sicurezza stanno lavorando. Ovviamente l’obiettivo di tutti è di riportare a casa i quattro connazionali. Il modo migliore per aiutare questo lavoro è la prudenza, il riserbo e il non inseguire il carosello di rivendicazioni, ipotesi, retroscena che vengono diffusi in modo più o meno strumentale», ha spiegato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. «Prudenza, riserbo e molto lavoro. È quello che serve».