Mercoledì 24 Aprile 2024

Isis, compleanno di sangue. Ma i tagliagole perdono terreno

Il califfato nacque due anni fa. Dopo i successi arretra in SIria e Iraq

L'avanzata dei miliziani dell'Isis appartiene ormai al passato (Afp)

L'avanzata dei miliziani dell'Isis appartiene ormai al passato (Afp)

Roma, 30 giugno 2016 - Ventinove giugno 2016: due anni di Califfato, la bandiera nera con la Shahada, la dichiarazione di fede islamica in caratteri bianchi, sventola su un cielo azzurro appena velato. L’infografica è della Provincia di Aleppo. Un’altra foto immortala la parata dei ‘cuccioli’ di al Baghdadi, giacca, pantaloni e berretti di lana blu scuri. Le immagini sono sul sito specializzato Site di Rita Katz. Lo Stato islamico esalta la presenza di «cellule nascoste anche in Turchia», il nuovo obiettivo del Califfo che ha attaccato Ankara, alla fine del 2015, e Istanbul, in gennaio e in marzo. Negli ultimi tempi sono finiti nel mirino anche i militari di Erdogan colpiti con un camion bomba a un posto di blocco di Gaziantep e a Kilis, dove una pioggia di razzi si è abbattuta su una caserma.

La frontiera turca era il polmone del Califfato, una linea di demarcazione porosa attraverso la quale arrivavano volontari europei, pezzi di ricambio, armi e soldi. Nella direzione opposta passava il greggio clandestino degli uomini in nero. Ma la pressione americana, l’intervento russo e soprattutto i successi militari dei curdi in Siria, l’avanzata delle unità Ypg e Ypj, hanno costretto Erdogan a sigillare il confine a partire dal mese di ottobre del 2015. Due anni fa il Califfo al Baghdadi pareva invincibile. Nel 2010 lo aveva scelto, per il suo curriculum di studi religiosi, Samir Abd Mohammed al Klifawi, un ex colonnello dei servizi segreti dell’aeronautica di Saddam Hussein, uno dei tanti ufficiali del regime decaduto che si erano uniti alla rivolta contro gli americani e contro il governo dello sciita Nouri al Maliki.

Il suo prescelto ha realizzato i piani di al Klifawi, si è impossessato del nord della Siria, dei pozzi petroliferi della provincia di Deir Ez Zour, e, senza colpo ferire, all’inizio di giugno del 2014 di Mosul, la seconda città irachena, di Ramadi e di Falluja, simbolo della resistenza contro gli Usa.

Il 5 luglio nella moschea al Nuri di Mosul il Califfo autoproclamato e privo del riconoscimento dei religiosi che contano nel mondo islamico, primo fra tutti il rettore dell’Università al Azhar del Cairo, chiede a tutti i musulmani del pianeta obbedienza e sostegno al suo Stato. In ottobre comincia la sua fase discendente. Il presidente americano Barack Obama autorizza i raid dei suoi cacciabombardieri, sia pure a ritmi non sostenuti. Dopo le stragi di Parigi, nel novembre 2015, si associano anche i francesi. Due mesi prima Vladimir Putin aveva mandato i suoi caccia a puntellare il regime traballante di Bashar Assad.

Il 21 giugno scorso l’esercito iracheno ha proclamato la «completa liberazione di Fallujah» e il premier Haider al Abadi ha chiesto ai suoi concittadini di celebrare la vittoria. Nella Siria settentrionale l’alleanza fra i curdi dello Ypg ed dello Ypj e le milizie sunnite sostenuta dai jet americani è arrivata a un chilometro e mezzo dal centro di Minbej, uno snodo cruciale sull’unica via di rifornimento di Raqqa, la capitale dell’Isis in Siria.

A Sirte, in Libia, le milizie di Misurata e del governo di Unità nazionale guidato da Fayez Sarraj si sono avvicinate al centro Ouagadougou, la cittadella costruita da Gheddafi nella quale si sono arroccati gli uomini in nero che hanno anche disseminato cecchini sui tetti del quartiere del porto, Dolar. Al Baghdadi ha reagito attivando le cellule nascoste. E cercando di colpire una linfa vitale della Turchia, il turismo.