Intestino sotto attacco, ecco i farmaci che spengono l'infiammazione

Malattia di Crohn e colite ulcerosa colpiscono 200mila persone in Italia. Dall'industria farmaceutica un passo avanti nella cura delle affezioni croniche del tratto digestivo

Immagine dal sito www.amiciitalia.net

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Milano, 2 febbraio 2016 – Fino a quindici anni fa i trattamenti disponibili erano solo steroidi (cortisone) e immunosoppressori, farmaci economici molto diffusi, ma non sempre adatti. Parliamo delle malattie infiammatorie croniche intestinali, tutt'altro che rare visto che in Italia colpiscono circa 200.000 persone. Morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa sono i nomi delle due affezioni che bersagliano il tubo digerente nell'addome. Presentano alti e bassi, crisi e remissioni (qualche analogia o vaga parentela con l'andamento della sclerosi multipla, che invece aggredisce le guaine mieliniche dei nervi) con possibili complicanze, quali le emorragie digestive, perdita di peso, stanchezza, dolori articolari. Negli ultimi tempi si osservano anche casi con esordio in età pediatrica. A volte tocca aspettare due o tre anni prima che sia accertata l'origine dei disturbi interni. La diagnosi tempestiva e una corretta scelta terapeutica sono all'ordine del giorno, necessaria una collaborazione tra il medico di famiglia e il gastroenterologo.

Con la disponibilità dei farmaci biotecnologici, tra cui gli anti-integrine selettivi, a breve introdotti anche in Italia, la cura delle malattie intestinali croniche su base infiammatoria è stata rivoluzionata. Questi medicinali evoluti bloccano i sintomi in un’ampia gamma di pazienti affetti da forme gravi, difficili da contrastare.

Di questi temi si è parlato a Milano nel corso di un incontro organizzato da Takeda con alcuni tra i maggiori esperti italiani in materia, Paolo Gionchetti, Professore associato all’Università di Bologna, Alessandro Armuzzi, Columbus - Fondazione Policlinico Gemelli - Università Cattolica di Roma, e Salvo Leone, direttore dell’Associazione AMICI Onlus. Si calcola che il costo per paziente con malattia di Crohn durante il primo anno di malattia sia di circa 6.000 euro, dei quali il 65% è da imputare alla necessità di un intervento chirurgico o di indagini diagnostiche. L’equivalente per la colite ulcerosa è circa 3.000 euro, di cui quasi il 50% per indagini diagnostiche, e il 15% in interventi chirurgici. Tra i costi indiretti, l’impatto negativo sull'attività lavorativa è testimoniato da un'indagine europea condotta su 6.000 persone con malattie infiammatorie croniche dell'intestino. Di questi, il 71% ha dovuto assentarsi dal lavoro nel corso dell'anno per malattia, il 19% si è assentato per più di 25 giorni.

La strategia di cura comporta scelte che investono la sfera del rapporto medico paziente. In linea generale gli specialisti sono concordi nell'affermare che gli aminosalicilati sono efficaci nelle forme lievi di colite ulcerosa (50-75% dei casi). Una terapia con una dose media di 3 grammi di mesalazina può costare 980 euro l'anno. Gli steroidi entrano in pista nelle forme moderate-gravi, ne sono state sviluppate opzioni (budesonide e beclometasone) per ridurre gli effetti indesiderati. L'azatioprina è una terapia di mantenimento efficace soprattutto in caso di malattia di Crohn, nelle forme pediatriche, nelle remissioni dopo intervento chirurgico, ha un costo indicativo di 300 euro l'anno per ogni soggetto in cura. L’utilizzo di immunosoppressori può però comportare un calo di difese immunitarie da cui l'insorgenza di infezioni.

La terapia con farmaci biotecnologici include anti-TNF alfa e anti-integrine. I farmaci anti-TNF alfa, e qui parliamo di cavalli di battaglia come infliximab, adalimumab (humira) e golimumab, sono stati introdotti dal 1999, e si sono rivelati molto efficaci risparmiando interventi chirurgici e ospedalizzazioni. I farmaci anti-integrine selettivi (vedolizumab) sono disponibili a livello europeo dal 2015, in Italia rappresentano la novità di quest'anno. Sono indicati a quanti non abbiano ricevuto giovamento dalle cure convenzionali o da altro tipo di trattamenti. Studi clinici esaurienti ne hanno decretato la validità. Oppongono una barriera al transito dei linfociti a livello della parete intestinale, riducendo l’infiammazione, con effetti soppressivi meno marcati rispetto al blocco del TNF alfa e con vantaggi nel medio lungo termine testati con successo anche negli anziani.

Oltre a vedolizumab, anticorpo monoclonale umanizzato che è sotto i riflettori in questo momento, altre molecole si profilano all’orizzonte, e le citiamo per dare un quadro completo dello stato dell'arte. I riferimenti riguardano tofacitinib, che dovrebbe impedire il rilascio di citochine pro infiammatorie, per il quale è ancora in corso uno studio internazionale di fase 3, e mongersen, una creazione tutta italiana, che promette di agire ripristinando la normale omeostasi a livello intestinale. Da non trascurare anche il ruolo dei biosimilari che nel complesso mosaico dei costi aiutano a rendere le terapie sostenibili, ovvero accessibili a un numero maggiore di pazienti.

Fernando Rizzello, segretario nazionale del Gruppo Italiano per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, nella riunione congressuale del dicembre scorso aveva accennato al fatto che i dati sull’impatto economico di queste affezioni sono carenti, a volte sottostimati, alludendo a carichi diretti per il Sistema sanitario nazionale (terapie, ricoveri, esami) e oneri indiretti che vanno a gravare sulla società e sugli stessi malati (giornate lavorative perse, accertamenti diagnostici non riconosciuti nei livelli essenziali di assistenza). Le buone notizie, per i pazienti, sono legate a filo doppio ai progressi dell'industria farmaceutica, che hanno condizionato e ridimensionato il ricorso al bisturi. Per Gilberto Poggioli, direttore della Chirurgia digestiva del Policlinico Sant’Orsola, Università di Bologna, non è esattamente calato il numero di operazioni nei soggetti interessati al problema, ma è cambiata la natura degli interventi (la rimozione di sezioni di intestino compromesse o ulcerate), provvedimenti che fino a pochi anni fa erano considerati l'ultima spiaggia. L'approccio oggi è conservativo, spesso grazie alle terapie è inutile tagliare o amputare, e in casi specifici il tipo di intervento, minimamente invasivo, viene valutato di concerto durante l'endoscopia.

Alessandro Malpelo, QN Quotidiano Nazionale