L'INTERVISTA / La trincea del benzinaio-cecchino: "Da noi hanno vinto i criminali"

Lui e il gioielliere hanno ricevuto una busta con proiettili: sono per voi dall'inviato Lorenzo Sani

Il benzinaio di Ponte Nanto (Sani)

Il benzinaio di Ponte Nanto (Sani)

PONTE DI NANTO (Vicenza), 24 beffraio 2015 - L’ENORME cartello esposto sulla vetrina della gioielleria ha il significato di una bandiera bianca di resa che laconicamente sventola dalla trincea, dopo l’ennesimo assalto del nemico: ‘Chiusura definitiva per rapine’. 

«Gliel’hanno consigliato le autorità al proprietario, il signor Roberto Zancan. Troppo pericoloso riaprire, gli hanno detto», racconta con un filo di voce Graziano Stacchio. Il benzinaio di Ponte di Nanto che lo scorso 4 febbraio ha ucciso con cinque colpi di fucile un rapinatore armato di kalashnikov, che con alcuni complici aveva dato l’assalto proprio a quella gioielleria, attigua al suo distributore di benzina, si sente in pace con la coscienza. Ma l’amarezza è tanta. 

«Se lo Stato arriva a suggerire a una persona che fa onestamente il proprio lavoro di chiudere la sua attività perché non riesce a garantirgli adeguata protezione, vuol dire che la dà vinta ai delinquenti. Ed è proprio così: qui da noi hanno vinto loro». Ieri sera la paura è aumentata: mentre il gioielliere partecipava a una trasmissione televisiva, qualcuno ha suonato alla sua porta e ha lasciato sullo zerbino una lettera con due proiettili per arma corta. Nella busta anche i nomi dello stesso Zancan e di Stacchio. 

IL BENZINAIO è indagato per eccesso colposo di legittima difesa dopo la morte del 41enne rom Albano Cassol, al quale ha sparato col suo fucile, un residuato bellico depotenziato, ma alla fine, ugualmente letale. Per la gente comune è un eroe, anche se lui rifiuta tale etichetta. È stata aperta una sottoscrizione per pagargli le spese legali che dovrà sostenere, il tam tam di Facebook ha cavalcato l’invito leghista rivolto ai vicentini di fare benzina al suo distributore Agip alle porte di Nanto. Graziano Stacchio è colpito dall’ondata di affetto, ma non riesce a nascondere la rabbia che ha dentro per quella sua bella terra così cambiata. 

«Torniamo al discorso di prima – spiega –. Se le persone per bene finiscono nei guai e i delinquenti la fanno comunque franca, vuol dire che il mondo gira alla rovescia. Dopo quello che è successo hanno detto che qui da noi è il far west se la gente inizia a difendersi da sola, perché lo Stato non è in grado di farlo. È vero. È il far west, ma al contrario: siamo noi gli indiani, perché viviamo alla mercé dei malviventi tutti i giorni».

Senza volerlo il benzinaio è assurto a simbolo di una comunità vessata dalla criminalità, da una violenza quotidiana sempre più radicata e capillare. Se potesse tornare indietro e riavvolgere il film della sua vita tornerebbe a fare ciò che ha fatto, chiediamo a Stacchio. 

«Oddio, non saprei dare una risposta. Me lo sono domandato anch’io in questi giorni. In certi momenti prevale l’istinto: o scappi, o agisci. Io sono passato all’azione. Fa parte del mio Dna. Mi sono mosso per difendere quella povera ragazza, la commessa della gioielleria. Era la seconda rapina in un anno, dopo quella dell’anno scorso la sua collega si è licenziata, lei, poveretta, non si è più ripresa e va avanti a psicofarmaci».

Il benzinaio non si dà pace perché i complici del bandito ucciso se lo sono portato via ferito. 

«Io sono donatore di sangue, faccio volontariato, ho fatto anche il corso per imparare a usare il defibrillatore. Ma quell’uomo che mi ha sparato col suo mitra, fortunatamente senza colpirmi, lo hanno fatto morire i suoi complici. Se lo avessero lasciato per terra, avrei provato a salvarlo. So come si ferma un’emorragia, l’ho già fatto 30 anni fa con un ragazzo che aveva avuto un incidente in motorino davanti al mio distributore e si era reciso un’arteria».

STACCHIO è decorato al valor civile per aver salvato, nel 1984, la vita di una donna che stava annegando nel canale dove era finita con la sua 126. Si è gettato in quelle acque gelide e con alcune manovre è riuscita ad estrarla dall’abitacolo. Nel 1990 il presidente Ciampi lo ha nominato Cavaliere e lui ne va fiero. Continuano gli attestati di solidarietà nei suoi confronti, dopo il tragico episodio del 4 febbraio che gli ha cambiato la vita e piazzato di piantone 24 ore, tra casa e distributore, un’auto dei carabinieri che si alterna con una della polizia. 

«Oggi mi hanno telefonato l’Associazione petroli, la Confcommercio, l’Associazione nazionale degli Alpini: tanta gente mi è vicina. Ma certe cose ti lasciano un gran vuoto dentro, non siamo gente abituata a sparare. Lei ha detto di essere molto religioso: si è confessato per quel delitto? «No, non l’ho fatto perché la coscienza è pulita. Ho fatto due volte la Comunione e ricevuto la solidarietà di tanti religiosi. Col Signore, da cattolico praticante, ho un rapporto quotidiano. Sento che anche lui mi è vicino in questo momento tanto difficile. Spero che si trovi una soluzione, la più logica».

dall'inviato Lorenzo Sani