Venerdì 19 Aprile 2024

In missione per i disperati del mare Roulette russa tra la vita e la morte

a bordo della nave San Giusto LE FIAMME delle piattaforme petrolifere illuminano la notte. E i barconi dei migranti le seguono come viandanti alla ricerca della speranza. Si staccano da Zuwara o Sabratha a bordo di vecchi motopesca, di gommoni fragili e pericolosi, di antidiluviani piccoli scafi in legno corroso da anni e salsedine e mettono prua verso nord, su, fin verso il campo di estrazione di Bouri, tre piattaforme a 75 miglia dalla costa libica, da dove tentano l’ultimo balzo verso Lampedusa, 81 miglia oltre. Ma l’obiettivo non è raggiungere le isole Pelagie, o magari la placida costa ragusana cara al commissario Montalbano. L’OBIETTIVO è finire diritti nella rete di Mare Nostrum. Essere salvati in alto mare, strappare un permesso di soggiorno come profughi e tentare di rifarsi una vita in Europa. Certo, è sicuro come una roulette russa: la maggior parte delle volte ti va bene, una finisci in fondo al mare. Ma la disperazione mette le ali. Con una audacia che è intrisa di fatalismo e incoscienza. Prendi Faras, ad esempio. «Faras — racconta Raisha, 25 anni, palestinese — è nato domenica mattina. La sera già prendevamo il barcone con mio marito e gli altri tre figli di quattro, tre anni e un anno e mezzo. Quando la nave italiana ci ha salvato Faras aveva due giorni, passati quasi tutti in mare, e la speranza di un futuro diverso da quello che aveva a Gaza. Era quello che volevo, a ogni costo». Nel ventre di nave San Giusto, Raisha è convinta di aver fatto la scelta giusta. E come lei, tutti. E infatti quando entrano nella ‘spiaggia’ della nave — la caverna dove attraccano i mezzi anfibi — scoppia sempre un applauso: ce l’hanno fatta. Bingo. La San Giusto da sola ne ha visti passare diecimila. Diecimila tra siriani, eritrei, somali, pakistani, palestinesi, nigeriani, sudanesi, burkinabè e altre etnie sub-sahariane. L’ULTIMA missione l’ha vista partire da Catania alla volta di Malta e poi del confine settentrionale delle acque libiche raccogliendo qualcosa come 1.722 profughi stipati in qualche modo tra l’hangar e il ponte di volo: è il nuovo record, che la dice lunga sull’attrattiva che Mare Nostrum costituisce per chi vuole raggiungere l’Europa. Ma sulla San Giusto non credono affatto di costituire un involontario moltiplicatore del traffico. «Avendo visto la disperazione di questa gente — osserva il capitano di Fregata Beniamino Scorcelletti, fino a inizio settembre comandante in seconda del San Giusto — posso assicurare che se anche non li andassimo a salvare noi troverebbero un altro modo». E in effetti nulla pare fermarli. Secondo rapporti che circolano al ministero dell’Interno, in Libia ci sono 30mila passeggeri pronti al viaggio verso l’Italia. Un flusso continuo reso possibile dalla disintegrazione dello stato libico. E così tocca alla Marina togliere la castagne dal fuoco. «Dall’inizio dell’operazione Mare Nostrum — spiega il contrammiraglio Francesco Sollitto, che comanda il 29° gruppo navale — abbiamo avuto 320 salvataggi, di questi ben 89 nel mese di agosto, quando abbiamo soccorso 27mila migranti. Nei primi dieci giorni di settembre i flusso è un poco inferiore, 7.500 persone, ma resta sostenuto. E noi facciamo tutto quel che possiamo, consci che questo non è un videogioco, ma che si ha a che fare con la vita delle persone». L’EMERGENZA è in agguato, quando le unità della Marina Militare navigano tra le piattaforme petrolifere libiche. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, è una infinita partita a scacchi con i barconi. È notte quando giunge la segnalazione che un gommone sta affondando: scatta la procedura Sar (ricerca e soccorso). Dalla Centrale operativa anfibia ordinano di muovere a tutta forza nave Borsini e nave Fasan, mentre partono due elicotteri. Uno salva tre migranti che erano già in mare, un altro lancia una zattera gonfiabile con la quale se ne salvano altri due. I restanti 80, ancora sul gommone, vengono presi a bordo dalle due unità della Marina e da un mercantile. Ancora una volta è andata bene. Come bene va l’indomani quando il San Giusto interviene direttamente, assieme a una unità maltese, per salvare un barcone con a bordo 431 migranti. Parte il mezzo da sbarco, il Gis, parte il gommone da 9 metri (nome in codice, ‘Mazinga’). Su entrambi i marò del San Marco, il mediatore culturale, il medico, i sub pronti a intervenire se qualcuno finisse in mare. E tutti vengono portati rapidamente in salvo. In molti piangono dalla gioia. «Vengo da Deraa, in Siria, proprio dove c’è l’Isis — dice tra le lacrime Farid Kehil, 53 anni professore di letteratura inglese — fuggo dalla guerra e posso dire solo: grazie, grazie tante Italia».