Mercoledì 24 Aprile 2024

Il pendolo di Matteo

Paolo Gentiloni (Ansa)

Paolo Gentiloni (Ansa)

ANDREA CANGINI

BUONA scelta, quella di Paolo Gentiloni alla Farnesina, ma dal retroscena rivoluzionario. Avevamo capito, e ci era piaciuto, che il primato della politica fosse la bussola che indicava la rotta renziana. Ricordavamo, ai tempi della formazione del governo, il braccio di ferro tra Renzi e Napolitano sul nome del ministro dell’Economia, con il primo che voleva «un politico» e il secondo che premeva per «un tecnico». Vinse Napolitano, e ministro divenne non Delrio ma Padoan. Da allora, Renzi non ha mai smesso di sostenere che a fare politica debbano essere i politici, anche perché i cosiddetti «tecnici» non sono soliti sbagliare meno. Si scopre invece che per la sostituzione di Federica Mogherini al ministro degli Esteri le parti si sono invertite: Renzi caldeggiava un tecnico, possibilmente in gonnella come Elisabetta Belloni; Napolitano voleva invece un politico esperto come Lapo Pistelli.

E il primato della politica? Perché il premier non ha impugnato quel sacro principio anche stavolta, prima d’essere costretto ad onorarlo con la nomina di mediazione rappresentata da Gentiloni? Una risposta s’impone: Matteo Renzi, che è un politico puro, usa i princìpi come fossero scudi o strumenti. Come ogni politico che si rispetti non crede in ciò che dice, ma dice ciò che gli conviene. E di ciò che gli conviene si convince intimamente. Che si tratti dunque del «primato della politica» o dell’irrefrenabile urgenza di portare in vetta «le donne», il suo vero obiettivo pare essere sempre lo stesso: inserire nei ruoli chiave figure deboli o talmente fidate da non poter mai rappresentare una minaccia né un contrappeso.