Il miracolo iberico

Giuseppe Turani

LA SPAGNA di Mariano Rajoy sta diventando una spina nel fianco per tutti i no-euro e no-austerità d’Europa. Oggi infatti è il paese che cresce di più nel Vecchio Continente. Ha l’euro (da cui non pensa minimamente di uscire) e in quanto a austerità può dare dei punti a chiunque, Germania compresa. Non a caso, Varoufakis, che rappresenta la linea dura contro l’euro, ancora all’inizio di agosto si è sentito in dovere di avvisare gli spagnoli: attenti, farete la fine della Grecia, schiavi della Germania. In realtà, Varoufakis era molto in ritardo. La Spagna non ha aspettato gli ordini della Troika. Appena arrivato al governo Rajoy ha tagliato gli stipendi pubblici di oltre il 10% e ha subito varato altre severe misure di austerità. È partito con una disoccupazione da paura (più del 25%), ma anche questa sta scendendo. In sostanza, la Spagna di oggi (come ieri l’Irlanda) è la dimostrazione concreta che di austerità non si muore. Anzi. E Podemos, la formazione di ultra sinistra che fino a qualche mese fa era data per sicura vincente alle prossime elezioni politiche, adesso risulta essere in caduta verticale.

 

RAJOY non è un progressista. È un conservatore molto conservatore che non ha avuto alcuna pietà nell’imporre sacrifici a quello che ancora un anno fa sembrava il Paese più disgraziato d’Europa. Però adesso la sua velocità di crescita è almeno di tre-quattro volte quella di Italia e Francia. Paesi con governi di sinistra e quindi assai più cauti nel varare riforme significative. La lezione che sembra venire fuori dalla Spagna è terribile: l’austerità funziona solo se è applicata con la massima severità. Cose nemmeno immaginabili da noi, dove la Corte Costituzionale impone di risarcire i pensionati che avevano avuto un blocco o i dipendenti pubblici che avevano subìto la stessa sorte, con la motivazione che sono stati colpiti i ‘diritti acquisiti’. Come ha giustamente osservato qualcuno, l’Italia e la Francia rischiano di morire di diritti. La Spagna sembra insegnare questo. In Italia siamo in una fase politica complicata, ma il dibattito prima o poi va aperto. Se qui non si accettano riforme ‘pesanti’, è ormai evidente che si continuerà a strisciare sul fondo, fra lo 0 e l’1% di crescita. E la disoccupazione resterà stabilmente sopra il 10-12%. Correre più svelti si può, la Spagna ci dice come: bisogna cambiare, e molto. E qualche diritto andrà sacrificato.

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