Il caso Italia

Giuseppe Turani

ESISTE la crisi, ma all’interno di essa esiste anche un «caso Italia». Per rendersene conto basta guardare il grafico accanto. È stato costruito in maniera piuttosto semplice. I Pil dei paesi del G7 sono stati posti tutti a quota 100 a fine 2007. Poi si è andati a vedere come i Paesi si sono comportati dentro la crisi, ovvero fino a oggi. BASTA una sola occhiata per vedere che tutti gli altri paesi, in un modo o nell’altro, hanno recuperato i livelli di Pil (cioè di creazione annuale di ricchezza) che avevano allo scoppio della crisi dei sub-prime). L’unico paese che è rimasto sotto al livello 100, e anche in misura elevata (quasi 9 punti) è l’Italia.

SE CONCENTRIAMO lo sguardo su Francia, Germania e Italia vengono a cadere tante banalità circolate in questi mesi. Tutti e tre questi paesi si muovono nella stessa area geografica, tutti e tre usano la stessa moneta. Però Francia e Germania hanno recuperato e sono anche un po’ più in alto di dove erano alla fine del 2007. La nostra cattiva, pessima, performance non nasce quindi dall’euro, ma da due elementi: la riforme non fatte e il peso del debito. Per quanto riguarda il debito, basta guardare con più attenzione il grafico: si vedrà che a partire dal 2008 cerchiamo di risalire la china e un po’ ci riusciamo. Poi. Nel 2011 c’è l’inversione di tendenza da cui non ci siamo ancora ripresi. Che cosa è successo nel 2011 di così grave? Una crisi di fiducia internazionale: ricorderete il cambio di governo con Monti che in un paio di giorni subentra a Berlusconi e trova lo spread quasi a quota 600. Da quel momento in avanti si cerca di riconquistare la fiducia dei mercati, ma l’operazione è ancora in corso. Insegnamento per gli anni futuri: un paese che ha un debito elevato come il nostro non può permettersi, mai più, una crisi di fiducia internazionale. Quando capita, poi ci sono anni di sofferenze e di mancata crescita. Ma il secondo motivo, forse il più importante, è il secondo: le mancate riforme. Sono vent’anni che se ne parla, da dieci sono diventate molto urgenti. Ma non sono mai state fatte. Solo adesso, quando ci mancano 9 punti percentuali per avere lo stesso livello di Pil del 2007, c’è un presidente del Consiglio che osa dire: il nostro modello per il lavoro è quello tedesco.

E C’È CHI ha il coraggio di protestare. Si vedrà. Intanto ci portiamo dietro tutto il resto: sprechi nella spesa pubblica che ammazzerebbero un elefante, una burocrazia che può impiegare anche vent’anni per dare l’autorizzazione per aprire un supermercato, migliaia di sindaci che hanno il potere di bloccare per mesi qualsiasi grande opera, una giustizia tale solo di nome. Ma la Francia, si dirà, non ha fatto grandi riforme. È vero. Ma era amministrata meglio di noi sin dai tempi di Napoleone. E i risultati si vedono. Francia e Germania si sono lasciati alle spalle la grande crisi, noi non ancora.

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