Il caporale finlandese

di Giuseppe Turani

LA LETTERA da Bruxelles alla fine è arrivata. Molto breve, ma anche molto secca, troppo secca. Più che una lettera a uno stato sovrano (e che di sacrifici ne ha fatti, ultimamente) sembra la lettera di un impiegato di banca a un cliente che non ha pagato una cambiale. Chiede una risposta entro 24 ore (altrimenti che fa? Sequestra la casa?) e non oltre. Probabilmente non esiste un galateo che regoli i rapporti fra i vertici della Ue e i paesi membri, ma dovrebbero essere in vigore (ancora) le regole della semplice buona creanza. Regole che avrebbero suggerito una semplice telefonata al nostro ministro dell’economia per avere, appunto, i chiarimenti a cui si tiene tanto. Oppure, se proprio si voleva mettere le cose nero su bianco (come si usa dire) la stessa lettera poteva essere scritta in termini più urbani. Invece, sembra la nota di un professore a un papà per dirgli che il figlio fumava in classe. Tutti hanno continuato a dirci che in Europa si cambiava verso, come in Italia, ma qui si è andati indietro. Invece dell’invito (legittimo) a discutere di cifre e di politiche c’è una sbrigativa richiesta (urgente) di spiegazioni.  Lo stile, in questo caso, è meno innocente di quanto non si pensi e non lascia prevedere niente di buono. 

L’AUTORE della lettera è infatti Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione di Bruxelles e responsabile per tutte le questioni economiche della comunità. Katainen è stato premier della Finlandia, prima di questo incarico da caporale inviato dalla Merkel per dare ordini al commissario all’Economia Ue, il francese Moscovici. E dall’alto del suo ordinatissimo e pulitissimo paese nordico il cerbero finnico ci deve vedere come dei terroni disordinati, che buttano le cartacce per terra e che suonano il violino tutto il giorno invece di lavorare e produrre valore aggiunto. E quindi, visti i nostri conti, che sono in effetti un po’ a maglie larghe, gli sono presi i cinque minuti e ha dettato una lettera, appunto, da maestro di scuola. Non va bene. Non si chiedono le scuse di Katainen, ma sarebbe opportuno che le sue prossime lettere avessero un tono più urbano.

QUANTO alla sostanza della questione non c’è molto da dire. Nella nostra legge di Stabilità Renzi e Padoan sono stati un po’ larghi, è vero. Ma per motivi che sono stati spiegati (forse Katainen era a sciare) più e più volte: dopo tre anni di recessione, l’Italia ha bisogno di respirare e di mettere in campo qualche misura pro-crescita anche a scapito del rigore finanziario (che abbiamo osservato religiosamente per tre anni di fila). In realtà, Renzi e Padoan hanno fatto meno della metà della metà di quello che servirebbe per mettere in movimento questo Paese stremato. Hanno sbagliato?

A questo punto mi viene in mente un aneddoto significativo. Mi raccontava Guido Carli che, quando era al Fondo monetario internazionale, un giorno si presenta il premier di un Paese del Centro America a chiedere aiuto perché i suoi conti erano tutti in disordine. Carli continua così il racconto: gli abbiamo fatto un bel piano di finanziamenti, con regole molto dure però sul piano sociale. Lui non ha detto niente, ha accettato di buon grado ed è tornato a casa. Com’è finita? chiedo. E Carli: non lo abbiamo mai saputo. Quel signore è tornato al suo Paese, si è affacciato al balcone del palazzo presidenziale e ha detto al popolo che cosa aveva ottenuto. È scoppiata la rivoluzione.

di Giuseppe Turani