Bill e Hillary Clinton, fra ricatti e tradimenti

Il racconto del matrimonio felice stride con anni di tradimenti e ricatti

Bill e Hillary Clinton nel 1994 (Ansa)

Bill e Hillary Clinton nel 1994 (Ansa)

Washington, 28 luglio 2016 - Ma che bella coppia! Chi ha detto che i matrimoni non durano? Che nell’Occidente decadente, in cui ci si sposa solo fra gay, non esiste più l’amore coniugale? Rileggete cosa ha detto Bill Clinton alla Convention democratica. Ha detto che quella ragazza, che incontrò nel 1971 e che oggi intende rientrare alla Casa Bianca non più da First Lady, ma da presidente, è l’amore della sua vita. Davvero? E i tradimenti, i ricatti, le denunce di Paula Jones, una segretarietta che fra l’altro gli si negò? E le intimità delicate rivelate a Penthouse da Jennifer Flowers? E le distrazioni in quello Studio Ovale ribattezzato Orale in omaggio a Monica Lewinski? E il processo del Congresso? Non una parola. Solo un accenno a tempi "buoni e cattivi". Perbacco, quale matrimonio non ne ha?

La platea democratica sembrava avere dimenticato che Bill Clinton è stato il secondo presidente americano ad avere subito l’impeachment. Condannato dalla Camera repubblicana, salvato dal Senato democratico. Esattamente come capitò ad Andrew Johnson nel 1867. Ma per motivi diversi. Johnson per avere licenziato un ministro. Clinton per una questione di mutande. Aveva mentito sotto giuramento.

Il giudice gli aveva chiesto se avesse avuto rapporti extraconiugali anche sul posto di lavoro. Lui giurò di no. E allora il giudice tirò fuori l’abitino della stagista. C’era la famosa macchia di Dna. La madre previdente non l’aveva voluta lavare. E così l’uomo più potente del mondo finì nei guai. Grande lo sdegno in Europa. Perché ficcare il naso nelle camere da letto o sotto le scrivanie dei potenti? E la privacy anglosassone? La vita privata non deve rimanere tale anche per un personaggio pubblico? Nessuno si sarebbe sognato di perseguire Mitterrand, Gronchi, Craxi. Già. Ma non erano accusati di spergiuro.

Quello scandalo comunque fu la fortuna di Hillary, una moglie così assorbita dalla politica da dare l’impressione di trascurare il marito e spingerlo, poveretto, a cercare soddisfazioni esterne. Fu lei a guidare la difesa del Sexgate, ad assicurarsi la fedeltà del Senato denunciando un "complotto della destra". Ma al marito fedifrago fece un discorsetto: io rimango al tuo fianco, tu mi aiuti a diventare senatore e poi presidente. Nel 2008 si presentò per la Casa Bianca. E invece la nomination andò a Barack Obama. Secondo tentativo nel 2016. E ora la nomination, seppur contestata da Bernie Sanders, l’ha ottenuta.

Martedì notte la sua biografia, per quanto addomesticata, ha confermato un’ambizione ossessiva, spregiudicata, arrogante. Su di lei pesano scandali passati, come Travelgate, Whitewater, la morte di Vince Foster, e recenti, come i fondi stranieri alla Fondazione Clinton, le e-mail segrete da Segretario di Stato. Sei americani su dieci la ritengono bugiarda e disonesta. Silenzio di Bill. Il quale ha piuttosto insistito su un punto: Hillary diventerebbe un «agente di cambio». Vale a dire: non continuerebbe la fallimentare politica estera di cui comunque è corresponsabile. Ho sposato la "mia migliore amica", ha concluso Bill. In realtà più che a un’amica o a una moglie si è unito a una partner di affari.