Helmut Schmidt, stella polare della Germania

Ha lavorato e scritto fino alla fine, è stato importante punto di riferimento dei tedeschi, vedeva nell'Olocausto l'eredità che "pesa sulla psiche" dei tedeschi e aveva detto di temere che la forza economica potesse "sedurre i suoi concittadini, portandoli a deviare verso l'arroganza e il desiderio di dominio"

Helmut Schmidt nel 1977 con l'amatissima moglie Loki (Afp)

Helmut Schmidt nel 1977 con l'amatissima moglie Loki (Afp)

Berlino, 10 novembre 2015 - Il giorno dopo l'anniversario della caduta del muro di Berlino se ne è andato Helmut Schmidt, 96 anni, cancelliere dell'allora Germania Ovest negli anni difficili tra il 1974 e il 1982 e 'padre' della Germania. Temperamento nobile e asciutto, che assomiglia tanto alla 'sua' Amburgo, l'ex cancelliere ha in un certo senso lasciato il suo Paese 'orfano' di un punto di riferimento. Perché anche se si era ritirato dalla politica attiva ormai da oltre 30 anni - lui stesso si definiva  "auser dienst", ovvero "fuori servizio" - ha continuato a fare da stella polare nel dibattito pubblico del suo Paese, e dei socialdemocratici in particolare. Anzi, ha forse acquisito peso col tempo, al di là degli 8 anni in cui ha fatto il cancelliere. Di certo è stato al timone della Germania in un momento molto delicato: fra gli effetti della crisi petrolifera e il terrorismo.

Nonostante la veneranda età, Schmidt fino alla fine ha lavorato molte ore al giorno nel suo studio a "Die Zeit", da lui co-fondato: interviste, convegni, libri - l'ultimo sul porto di Amburgo - lo tenevano attivo. Scriveva anche si sè, della sua vita privata: nel penultimo libro, intitolato "Quel che volevo ancora dire", aveva rivelato un tradimento dell'amatissima moglie Loki, e questa sincerità tardiva non era piaciuta a tutti. Nel 2010, in un libro-intervista firmato con Giovanni di Lorenzo, Schmidt, che vedeva nell'Olocausto l'eredità che "pesa sulla psiche" dei tedeschi, aveva detto di temere che la forza economica congiunta alla dimensione numerica del Paese potesse "sedurre i suoi concittadini, portandoli a deviare verso l'arroganza e il desiderio di dominio". "Quello che non vorrei è una Germania come grande potenza", aveva provocatoriamente scritto. 

Nato ad Amburgo da due insegnanti il 23 dicembre 1918, fu anche un pianista di talento; partecipò alla Seconda guerra mondiale, si laureò in Economia nel dopoguerra ed entrò nell'SPD nel 1946. Senatore dell'Interno del Land di Amburgo dal 1961 al '65, fu poi Ministro della Difesa del governo di Willy Brandt. Il datagate (affaire Guillaume) che portò alla caduta del governo del grande cancelliere dell'Ostpolitik, fu l'accesso alla guida del Paese per chi come lui rappresentava una linea più moderata del progressismo del predecessore. Di fronte alla congiuntura economica difficile, gli elettori si allontanavano dalla spinta socialista di Brandt e Schmidt adottò una politica di austerità, riducendo la spesa pubblica contro l'inflazione, favorendo l'economia privata e ridimensionando la presenza dei cosiddetti Gastarbeiter. Gli storici parlano di quel periodo come un nuovo miracolo economico tedesco, nonostante la crescita della disoccupazione.  La sua leadership fu segnata poi da una serie di misure repressive per contrastare la Rote Armee Fraktion: schedature, intercettazioni, fino all'esclusione dal pubblico impiego dei simpatizzanti dell'estrema sinistra. Il successo del Modell Deutschland, su scala internazionale, permise a Schmidt di accedere al secondo mandato come cancelliere, nonostante l'SPD perdesse qualche punto nel '76. Con i liberali di Genscher formò il secondo governo, segnato dall'intensificarsi del pericolo terrorista. 

Risale a questi anni il dirottamento di un aereo Lufthansa a opera dei terroristi palestinesi: chiedevano il rilascio del gruppo Baader-Meinhof. L'antiterrorismo salvò passeggeri ed equipaggio. Nel 1982 l'esecutivo fu messo però in crisi dall'FDP, che percependo l'ostilità elettorale nei confronti della coalizione soprattutto a causa della disoccupazione passò ad un'alleanza con la Cdu. Fu la fine della politica attiva e l'inizio di un percorso di avveduto 'accompagnamentò del Paese, volutamente dalla 'seconda fila'.