Venerdì 19 Aprile 2024

Quanto costa il no della Grecia. All’Italia un conto da manovra

S&P: almeno 11 miliardi solo per lo spread. Renzi: l’accordo ci sarà

Un anziano accanto a un cartello: "Sì alla Grecia, sì all'euro" (Afp)

Un anziano accanto a un cartello: "Sì alla Grecia, sì all'euro" (Afp)

Roma, 3 luglio 2015 - L’ITALIA non è il Paese sull’orlo del baratro di cinque anni fa. Ma se la Grexit dovesse diventare realtà, non ci sarà da stare sereni. Per niente. E il conto potrebbe essere salato: 11 miliardi solo dall’impennarsi dello spread. La risalita della febbre sui titoli di Stato, insieme con il dissolversi di quei «fattori esogeni positivi» messi in conto dal governo, potrebbero minare la fragile crescita del prossimo anno e annullare i margini degli interventi pro ripresa. Interventi che, in linea teorica, dovrebbero essere messi in cantiere con al legge di Stabilità d’autunno. Ma, con un tragico epilogo per Atene, i calcoli potrebbero non tornare anche da noi. Secondo l’agenzia di rating S&P il conto per il nostro Paese sarebbe di 11 miliardi a causa dell’aggravio dei costi di finanziamento nel 2015-2016, cioè degli interessi in più che pagheremmo sul debito, mentre il Pil crescerebbe dello 0,2-0,3% in meno. Il governo aveva, infatti, stimato di risparmiare per quest’anno 4,8 miliardi grazie al calo dei tassi di interesse, ma se i livelli fossero rimasti quelli di inizio anno. La nota positiva è che la raccolta del Tesoro è già oltre il 60% e ha goduto di tassi bassi. I rischi sarebbero, dunque, per il 2016.

«UNDICI miliardi è una stima un po’ troppo pessimistica», secondo Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy, «qualche margine in più sugli spread lo abbiamo ma il tasso di crescita dell’1,3-1,4% per il 2016 sarebbe a rischio». Anche perché, «se l’euro diventasse un sistema di tassi di cambio fissi, ogni turbolenza sarebbe una spada di Damocle sui Paesi più fragili, come l’Italia che ha un altro debito pubblico». E se l’ex premier Enrico Letta ipotizza la necessità di «una manovra correttiva particolarmente rigorosa», il governo fa professione di ottimismo: «Non c’è nessun problema di tenuta dei conti – assicura il viceministro dell’Economia, Enrico Morando –. E, poi, esistono ancora margini per evitare la Grexit». Sulla stessa linea il governatore di Bankitalia, secondo il quale «abbiamo messo in atto importanti difese contro le turbolenze: ci saranno, ma siamo in grado di affrontarle». Il Tesoro ha assicurato che, in ogni caso, non ci saranno impatti sui conti dall’esposizione verso Atene (35,9 miliardi) perché già contabilizzati. Intanto, l’aria che tira sui mercati è attendista, con Piazza Affari che ha ceduto l’1,43%. «C’è un moderato pessimismo», spiega Jacopo Ceccatelli, ad della società di investimento Marzotto Sim, «ma il rischio di ritirata dei capitali da Piazza Affari è ridotto». Certamente, se al referendum vincesse il no ci sarebbe «un periodo di prezzi impazziti con correzioni al ribasso tra il 5 e il 10% ma non ci troveremmo di fronte agli scenari catastrofici del 2011-2012». In primis, grazie allo scudo della Bce e ai meccanismi di salvataggio europei. L’Italia si troverebbe a scontare sui titoli di Stato un premio di rischio, perché l’euro non verrebbe più considerato irreversibile, ma gli analisti concordano nel prevedere una risalita dello spread non oltre i 200-250 punti.

«POTREBBERO esserci picchi elevati sull’onda dell’emotività –dice Alessandro Allegri, ad di Ambrosetti Am Sim – ma il Btp decennale italiano dovrebbe attestarsi al massimo attorno al 3% di rendimento». Ieri il termometro dello spread segnava 149, con i Btp al 2,32%. «L’Italia – assicura Renzi – ora è solida, non c’è rischio contagio. E l’accordo tra Grecia e Ue ci sarà». Ma da lunedì tutto può succedere. E l’Italia resta sulla linea del fuoco.

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