Mercoledì 24 Aprile 2024

Ex giudice Giusti si toglie la vita. Era ai domiciliari, accusato di rapporti con la 'ndrangheta

Giancarlo Giusti, 48 anni, si è impiccato in casa. Ci aveva già provato in carcere

Giancarlo Giusti (Ansa)

Giancarlo Giusti (Ansa)

Catanzaro, 15 marzo 2015 - Ci aveva già provato in carcere, ma solo stavolta gli è riuscito. L'ex giudice del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, 48 anni, si è tolto la vita impiccandosi. L'uomo è stato ritrovato cadavere nella sua abitazione di Montepaone Lido, nel catanzarese, dove viveva da quando si era separato dalla moglie. Era stato condannato a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione, inflittigli nel corso del processo nel quale era accusato di corruzione in concorso col presunto boss della 'ndrangheta calabrese radicata a Milano Giulio Lampada. Era agli arresti domiciliari.

L`ex magistrato, già sospeso dalle funzioni perché indagato nell'inchiesta sul clan Lampada, venne arrestato nel marzo del 2012 su disposizione della magistratura di Milano che lo accusava di aver incassato 71mila euro e altre utilità da Lampada, Mario Giglio e Vincenzo Minasi, quest'ultimi finiti in carcere nei mesi precedenti nell'ambito della stessa inchiesta. Gli inquirenti lo accusarono di aver venduto alla cosca la propria funzione. Nel novembre 2011 Giusti era stato arrestato invece con l'accusa di corruzione, rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento aggravato per aver agevolato le attività del clan Valle-Lampada, e poi condannato in primo grado.

L'ex giudice  aveva già provato ad uccidersi nel settembre del 2012 nel carcere di Opera. Il primo tentativo di suicidio si verificò il giorno dopo la condanna a quattro anni. Soccorso dalla polizia penitenziaria, era stato ricoverato in ospedale con prognosi riservata ed aveva ottenuto successivamente, a causa della sue precarie condizioni psicologiche, gli arresti domiciliari. 

In una telefonata intercettata dai magistrati della Dda di Milano, Giusti, parlando con Lampada, afferma: "Io dovevo fare il mafioso, non il giudice. Non hai capito chi sono io... sono una tomba, peggio di... ma io dovevo fare il mafioso, non il giudice". Un altro elemento che emerse dall'inchiesta che portò all'arresto di Giusti fu quella che gli inquirenti definirono l'"ossessione dell'ex giudice per il sesso", oltre che per "i divertimenti, gli affari e le conoscenze utili". In un "diario informatico" tenuto da Giusti e sequestrato dai magistrati milanesi, Giglio annotava tutto ciò che faceva facendo riferimento anche ai suoi incontri a scopo sessuale. "Venerdì - scriveva l'ex giudice - notte brava con (...) Simona e Alessandra. Grande amore nella casa di Gregorio".

Il giudice Giusti aveva rilasciato a Klaus Davi per il suo programma KlausCondicio le sue due ultime interviste nelle quali si era definito innocente. "Ora sono rovinato - spiegava -, non ho più un lavoro. Non mi aspettavo una condanna della Suprema Corte così dura visto che, come hanno potuto dimostrare i miei avvocati, il mio ufficio di gip non è mai stato coinvolto in questa vicenda mai una sola volta". Giusti aveva anche detto: "Sono stato leggero. Mi pento di aver infangato la toga, ma non sono un corrotto. Con Giulio Lampada c'era un rapporto affettivo amicale: gli volevo bene, lo consideravo una persona da abbracciare, un confidente. Mi sono sentito accettato, coccolato e risollevato. Come accertato dai processi in primo e secondo grado, nel periodo in cui lo frequentavo io non era assolutamente identificato come esponente della 'ndrangheta". "Ho sbagliato ad accettare - aveva ammesso ancora l'ex magistrato - che mi pagasse donne e cena, ma non gli ho concesso nulla in cambio. Non risulta nessun provvedimento del mio ufficio in favore del Lampada, tantomeno sentenze aggiustate. Mai ho preso soldi da lui. Sia chiaro. In tasca mia non è mai entrato un euro. Si e' trattato solo di quattro cene con relative quattro donne. Questo era il modo di fare di Lampada, di testimoniare la sua amicizia. Lo faceva con tutti quelli che gli capitavano. Lì è stato il mio errore". "La mia - ha raccontato ancora Giusti nell'intervista - è stata una debolezza dovuta al momento terribile che stavo attraversando per la mia separazione. Sono stato stupido. Anche se presi informazioni per mezzo delle forze dell'ordine e di persone vicine ai servizi citate nel processo con nome e cognome, nessuno mi disse mai nulla. E' chiaro che non ci si siede con nessuno se si è nella mia posizione. E' stato un errore molto grave il mio. Ma nessun atto ha mai coinvolto il mio ufficio". "Quando si va a scavare - continua Giusti - non si trova nulla: nessun provvedimento del mio ufficio in favore del Lampada, tantomeno sentenze aggiustate. Lampada era incensurato: lo incontrai a una manifestazione politica a Lamezia Terme dove c'erano Scopelliti, Alemanno, Quagliariello e lui in mezzo. Era seduto vicino a queste persone". Quanto ai rapporti fra Domenico Punturiero e i Bellocco e alle accuse di Giusti di avere agevolato scarcerazioni di esponenti del Clan Bellocco in cambio di 120mila euro, l'ex magistrato precisa: "Non è mai emerso un contatto tra Punturiero e i Bellocco. Mai. Né di persona né per telefono. Non è neanche mai emerso che io abbia avuto un euro. Quando ho voluto fare affari ho preso i miei risparmi di una vita e ho consegnato i miei soldi al signor Punturiero: 120mila euro per acquistare un appartamento in via di costruzione alle porte di Milano, soldi mai restituiti".