Venerdì 19 Aprile 2024

Sorridenti o nevrotici si nasce. La scienza scopre i geni della felicità

Un’équipe di Amsterdam ha analizzato le cellule di 300mila persone

Stati d'animo (Olycom)

Stati d'animo (Olycom)

Roma, 27 aprile 2016 - SOLO gli idioti sono dogmatici e senza esitazioni: questo spiega perché di fronte a un tema complesso come la felicità la comunità scientifica va da sempre con i piedi di piombo, temendo tra l’altro di pestare quelli dei filosofi. L’ultima scoperta, presentata con la prudenza di chi sa che i fattori coinvolti sono tantissimi, è l’esistenza dei geni della felicità, piccoli interruttori in grado di dare un alibi forte a chi, non avendoli, ha sempre il muso lungo.   DALL’ANALISI del genoma di quasi 300 mila persone è stato possibile ipotizzare che sarebbero questi frammenti del Dna a determinare in parte le esperienze positive. Sono stati individuati due punti legati ai sintomi della depressione, 11 correlati a nevrosi e tre, coinvolti appunto nei processi del buonumore, che si accendono nelle cellule del sistema nervoso centrale, nelle ghiandole surrenali e nel pancreas. Un bel traguardo, condotto dall’equipe di Meike Bartels e Philipp Koelliger, dell’università Vrije di Amsterdam, e presentato sulla rivista Nature Genetics. «Ormai siamo quasi certi che esista un aspetto genetico della felicità – conferma Bartels – E oltre alle tre varianti già isolate ci aspettiamo che esistano molti altri geni con un ruolo importante nel benessere delle persone». Un po’ come la lotteria degli occhi azzurri, chi li ha in dotazione e chi no. Di sicuro non è vero che tutti sono felici allo stesso modo, ma vale anche il contrario, e con questo si liquida l’imbarazzo di scienziati e filosofi costretti a contraddirsi sempre.  Può dirsi felice chi trova l’antidolorifico giusto per un mal di denti? Perché si ritiene felice un cane che corre con un ramo in bocca se nessuno ha mai avuto la possibilità di domandarglielo? L’amore rende felici finché dura ma sulla lunga distanza provoca gli stessi effetti di un deragliamento. E la giovinezza, la fama, la ricchezza? Lo psicologo statunitense Wayne Dyer, morto di recente dopo una vita passata a trasformare in beatitudine le grane proprie e degli altri, sosteneva che una vita felice è il barometro più sicuro dell’intelligenza. E più intelligente di tutti è chi riconosce che i problemi fanno parte della condizione umana ma non misura la felicità dalla loro assenza. Sorridere a oltranza anche se sommersi da un mare di guai dovrebbe essere quindi la missione quotidiana di chi non vuole passare per scemo. In tanti l’hanno presa così sul serio da intendere la felicità come un muscolo che va allenato, facendo felice innanzitutto l’industria del pensiero positivo. Ai diligenti allievi provocati dalla dura scuola della vita è stato persino detto che gli ingredienti da coltivare per non soccombere sono sei: saggezza, coraggio, amore, giustizia, temperanza e spiritualità, come se fosse facile diventare il Dalai Lama.   QUALCHE eretico di passaggio ha aggiunto che è indispensabile un pizzico di follia. E siccome tutto è cambiamento, anche la voglia di cambiare. L’infelicità sta ferma ma la felicità si muove di continuo, motivo per cui viene creduta inafferrabile. Quel meraviglioso filibustiere che fu Osho, mistico contemporaneo diventato famoso per le riflessioni sul benessere emotivo e per gli spostamenti in limousine, sosteneva che la felicità va scelta ogni mattina con lo stesso scrupolo con cui si sceglie una cravatta. Vuoi passare una giornata miserabile o radiosa? A te la scelta. E fosse così semplice anche i genetisti si metterebbero l’animo in pace.