Sabato 20 Aprile 2024

Fermo, altra supertestimone. "Nigeriano colpì per primo"

Il pm la considera attendibile. La tragica zuffa dopo le frasi razziste Amedeo Mancini: "Voglio donare la mia casa alla vedova"

L'arresto di Amedeo Mancini (Ansa)

L'arresto di Amedeo Mancini (Ansa)

Fermo, 11 luglio 2016 - Sono due ora i supertestimoni che confermano l’aggressione ad Amedeo Mancini con un segnale stradale da parte di Emmanuel Chidi Namdi, il rifugiato politico nigeriano morto tragicamente dopo la zuffa scaturita dagli insulti razzisti dello stesso Mancini alla moglie di Emmanuel. C’è un’altra donna, ritenuta attendibile dal sostituto procuratore di Fermo, Francesca Perlini, che ha assistito alla rissa e che parla chiaramente dei colpi sferrati con il paletto metallico che hanno abbattuto l’ultrà fermano, prima della sua reazione fatale. La sua testimonianza risulta nei verbali degli inquirenti che sono inequivocabili. "Dopo essere scesa dall’autobus – si legge nel documento – la donna ha udito delle urla provenire dalla via sottostante dove notava parlare animatamente due persone di colore e Mancini. Riferiva che il ragazzo di colore iniziava a spintonare Mancini e, dopo aver preso un segnale stradale mobile, ivi presente, lo colpiva con il medesimo alle gambe, facendolo cadere a terra. Dopo ciò il ragazzo di colore si allontanava, ma veniva raggiunto da Amedeo Mancini e tra i due iniziava una scazzottata a seguito della quale l’uomo di colore rovinava a terra. Aggiungeva inoltre di aver sentito dire dal ragazzo, che si trovava in compagnia di Mancini, le seguenti parole rivolte all’amico: ‘Lascia perdere, c’è una donna, non reagire, c’è una donna’".

FOTO - Tutte le tappe della tragedia

Una versione che collima con quella dell’altra testimone, anche questa presente nei verbali della Procura della Repubblica. "Veniva sentita anche (omissis), testimone presente ai fatti, la quale dichiarava di aver visto l’intera scena i cui vi erano tre soggetti, due di colore e uno di carnagione bianca, che litigavano animatamente e si scambiavano dei colpi. In particolare descriveva che l’uomo di colore sferrava dei colpi tipo mosse di karate verso l’uomo di carnagione chiara e la donna colpiva quest’ultimo con le proprie scarpe, urlando verso di lui: ‘chi scimmia, chi scimmia?’. Dopodiché notava l’uomo di colore prendere un segnale stradale munito di pedana e zavorra e, dopo averlo sollevato, spingerlo contro l’uomo di carnagione chiara, colpendolo ad una spalla e facendolo cadere a terra. Infine notava che l’uomo di carnagione bianca, colpiva con un pugno quello di colore, facendolo rovinare a terra".

Le due testimonianze sono tenute nella massima considerazione dal sostituto procuratore Perlini che scrive nel provvedimento di fermo emesso: "Le dichiarazioni circostanziate rese dalle signore (omissis) sono da ritenersi di sicura credibilità, in quanto persone estranee ai fatti in quanto distanti in termini di parentela e conoscenza sia dalla persona offesa sia dall’indagato".

Testimonianze che dovranno essere esaminate dal gip del tribunale di Fermo, Marcello Caporale, durante l’interrogatorio di garanzia che si terrà oggi. Intanto Mancini resta rinchiuso nel carcere di Marino del Tronto dove, dice il suo avvocato, distrutto dal dolore, piange spesso. Il legale lo descrive come una persona disperata, che sembra non capacitarsi di quello che è accaduto. Agli investigatori ha confessato che la parola scimmia faceva parte del suo vocabolario perché da piccolo lui stesso era soprannominato così: «Gli amici mi chiamavano scimmia, ma non l’ho mai considerato un insulto grave".