Fari trasformati in hotel di lusso. Il Governo fa cassa coi suoi gioielli

Il Demanio: dieci in concessione a privati per investimenti turistici

Il faro di Capo Spartivento a Cagliari (dal sito dell'hotel)

Il faro di Capo Spartivento a Cagliari (dal sito dell'hotel)

Roma, 8 giugno 2015 - IL RUMORE del mare a portata di orecchio e di sguardo, senza il cruccio di schiamazzi da spiaggia. L’esclusività di panorami mozzafiato e il fascino indiscusso della solitaria inaccessibilità. Sono i fari: in passato fonte d’ispirazione per scrittori e artisti, adesso nuova forma di introito per il governo italiano alla ricerca entro il 2017 di 2,1 miliardi destinati dal Def alla riduzione del debito pubblico. Lo Stato è, infatti, pronto a dare in concessione ai privati dieci ‘sentinelle dei mari’, replicando casi di successo già sperimentato come quello del Faro di Capo Spartivento a Domus de Maria (Cagliari), trasformato in un hotel di lusso con suite da 500 a 1.000 euro a notte. L’idea, che verrà ufficialmente presentata dall’Agenzia del Demanio nei prossimi giorni, è quella di sollecitare piani di recupero da parte di investitori privati, premiando i migliori con concessioni "di lungo periodo". Il progetto ‘ValorePaese’, in cui s’inserisce il Piano Fari, prevede una durata delle concessioni anche di 50 anni. Un lasso di tempo tale, dunque, da garantire l’investimento.

IN EUROPA la formula è già stata ampiamente sperimentata. Per citare solo qualche esempio, in Croazia e Norvegia i fari rappresentano già da molti anni una tipologia di alloggio-vacanze molto diffusa. Ma anche il Portogallo con le sue "pousadas" (residenze alberghiere in monasteri, castelli, palazzi e fortezze) e la Spagna con i suoi analoghi "paradores", hanno già coniugato l’accoglienza di domanda turistica con la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. L’Italia, quindi, è pronta ad allinearsi, mettendo sul piatto alcuni fari dismessi posizionati sulle più belle isole italiane, dall’Elba alle Eolie. Costruzioni affascinanti non solo per la loro posizione, ma anche per l’architettura. Basti pensare che uno di quelli messi all’asta nel 2014, quello ischitano di Punta Imperatore, è una palazzina di due piani a picco sul mare, del 1884, con la torre della lanterna che arriva a 180 metri di altezza.

La parola d’ordine è valorizzare, ma in tempi di spending review, riutilizzare e monetizzare immobili pubblici finiti nel dimenticatoio può rappresentare un’idea di business vincente. Il Demanio ci aveva provato – con poco successo – già l’anno scorso, mettendo all’asta la cessione della proprietà superficiaria dell’Isola di Poveglia a Venezia e quella della Cittadella di Alessandria, nonché la vendita del Castello di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), l’ex convento a S.Domenico Maggiore Monteoliveto (Taranto) e Casa Nappi a Loreto (Ancona). Ora con «Proposta Immobili 2015», ha deciso di far vagliare e censire, per potenziali dismissioni o trasferimenti a Cassa depositi e prestiti o fondi immobiliari Invimit, circa 700 immobili tra ville, castelli, ex ospedali e mercati ortofrutticoli appartenenti a enti pubblici o locali.

L’OBIETTIVO, come già detto, è racimolare quei 2,1 miliardi che entro il 2017 serviranno a ridurre il debito pubblico. Lo stesso vale anche per il progetto caserme: il ministero della Difesa punta a cederne il maggior numero possibile, anche per rientrare dei costi. Così a Bologna una di queste diventerà il più grande campus universitario europeo, mentre quella di via Guido Reni a Roma, a due passi dal museo di arte contemporanea Maxxi, potrebbe assumere la forma dalla nuova Città della Scienza della capitale.

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